Recensione: Where Time Will Come to Die

Di Stefano Ricetti - 21 Ottobre 2024 - 8:55
Where Time Will Come to Die
Etichetta: No Remorse
Genere: Heavy 
Anno: 2024
Nazione:
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Un titolone come Where Time Will Come to Die viene scomodato dai tedeschi Servants to the Tide per marchiare il proprio secondo full length della carriera. Nati ad Amburgo nel 2018 come progetto e per volere del mastermind Leonid Rubinstein, chitarrista e compositore, nel corso degli anni assurgono ad un team vero e proprio che al momento schiera, oltre al leader, Stephan Wehrbein alla voce, Katharina Großbongardt all’altra chitarra, Sören Reinholdt al basso e Lucas Freise ai tamburi. Il loro esordio, omonimo, risale al 2021 e vede la luce per la greca No Remorse Records. Etichetta mantenuta anche per il seguito, oggetto della recensione, nella sua versione in Cd – esiste anche in vinile a 33 giri – che si accompagna a un libretto di sedici pagine con tutti i testi e una foto della band in posa nelle due centrali e le ultime pregne di special thanx.

La stessa label, senza particolari giri di parole, definisce i Servants to the Tide come portatori sani di epic doom metal nella scia di Atlantean Kodex, While Heaven Wept, Candlemass e Savatage. Dichiarazioni impegnative, senza dubbio, così come particolarmente gravosi risultano gli accostamenti alle band citate, affermazioni che devono poi però trovare riscontro alla resa dei conti, leggasi alla voce fruizione.

E qui casca l’asino, o quantomeno incespica parecchio. Già, perché avere l’ambizione di scrivere delle canzoni che riflettano la lezione dei caporioni di cui sopra costituisce una sfida e i tedeschi dimostrano senza dubbio del coraggio tentando di farlo al meglio delle loro possibilità. Potenzialità che probabilmente esistono, in nuce, ma che richiedono ancora parecchio lavoro per potersi affermare in modalità convincente.

Where Time Will Come to Die risulta quindi essere un mischione ove convivono pulsioni epiche, doom, fantasy e teatrali oltre ovviamente a una buona dose di Acciaio tradizionale a sorreggere l’intero impianto che però, anche dopo diverse passate, non decolla. A peggiorare la situazione vi è poi la voce e l’interpretazione di Stephan Wehrbein, volenteroso sì ma non di certo un fenomeno che spesso pecca per la voglia di strafare andando palesemente fuorigiri. Dentro le sette canzoni del disco gli echi dei gruppi citati dalla No Remorse vi sono, effettivamente, ma permangono degli echi, senza mai sbocciare e arrivare a compimento. Le idee esistono ma è la messa in pratica che paga dazio, inesorabilmente, a causa di un songwriting e un’esecuzione non all’altezza delle aspettative.

La sensazione è che i Servants to the Tide abbiano fatto il passo un po’ più lungo della gamba. Il tempo è dalla loro, però, vi sarà modo di rimediare. Forse.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

 

 

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