Recensione: White Tomb
“C’è del marcio in Irlanda”
Perdonate questa semicitazione Shakespeariana ma alla fine di “White Tomb”, opera prima degli Altar of Plagues, non ho trovato espressione più azzeccata per esprimere quello che ho provato durante l’ascolto.
“White Tomb” è un viaggio da compiere tutto in un colpo, durante il quale Black metal, ambient, post hardcore e doom si prendono a braccetto per creare un sound fenomenale: non pensate ai Wolves in The Throne Room o alla scena della Cascadia, al massimo ci può essere qualche analogia o delle influenze comuni, il resto è tutta farina del sacco dei blackster Irlandesi.
“White Tomb” è il debutto dei Nostri ed esce per la Profound Lore, label capace di scovare talenti in giro nel mondo in ambito musicale underground.
Addentrandoci nella tracklist possiamo notare la lunghezza media delle canzoni che si aggira intorno ai 13 minuti, per 4 brani (due canzoni divise 4 composizioni) in totale. Questo potrebbe scoraggiare l’ascoltatore, ma vedremo che tale aspetto si rivelerà essere uno dei punti di forza della band, che riesce ad esprimersi al meglio sulla lunga distanza.
Un feedback di chitarra tetro ci introduce a “Earth: As a Womb”: il cielo si fa pumbleo e il crepuscolo ormai è finito, quando un riff di stampo black metal prende la scena mostrandosi in tutta la sua furia, con feroci blast beat e urla laceranti. Lo svolgimento del brano potrebbe ricordare una band Post Hardcore/Sludge (AmenRa, Isis, Neurosis) alle prese con la materia black, aumentandone l’impatto e dando nuova forma alla musica.
Basta dare attenzione alle strutture dei brani, completamente aperti e pronti ora a rallentare o ad accellerare, ora a mostrare una componente ambient/doom senza che il tutto risulti disomogeneo. E’ il caso della seconda parte di “Earth: As a Furnace”, dove la musica si fa dilatata e i riff e le atmosfere riportano alla mente i Nortt (si quelli funeral black doom); nonostante questo il mood rimane identico, fungendo da filo rosso dell’opera.
La seconda parte del disco, intitolata “Through The Collapse”, si differenzia dalla prima per un approccio virato sul doom/black arrivando al doom/drone. In “Watchers Restrained” la struttura e il cantato – ad opera dell’ospite Nathan Misterek degli ottimi Laudanum – non può non ricordarci quanto fatto in precedenza dai Khanate: il riff doom/drone pieno di silenzi e una voce ci trasmettono orrore e disperazione
“Silence. Desolation.
Silence. Desolation.”
Con questi versi finali si raggiunge uno dei punti più intensi di tutto il disco. Il finale dark ambient è la giusta conclusione, aumentando ancor di più la drammaticità delle parole finali.
“Gentian Truth”, che chiude in maniera spettacolare l’opera, probabilmente è il brano più atmosferico del lotto, la pace nella tempesta. Il coro che possiamo sentire a partire dal quarto minuto è una delle cose più geniali e azzeccate che si siano potute ascoltare nella musica estrema in questo ultimi periodo; pazzesco come riesca ad essere epico e oscuro senza che possa snaturare l’essenza del brano. Una chiusura dal chiaro sapore post/hardcore apocalittico chiude questo fenomale debut.
Se amate Deathspell Omega, Ulcerate, Agalloch, Wolves in The Throne Room, Neurosis, Isis, Amenra, Khanate e Nortt non potrete fare a meno di dare una chance a questo disco. Uno dei migliori dischi black degli ultimi 10 anni.
Matteo “mariottide666” Concu
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Tracklist:
1) Earth: As a Womb
2) Earth: As a Furnace
3) Through the Collapse: Watchers Restrained
4) Through the Collapse: Gentian Truth