Recensione: Who Do You Trust?
Non è certo la metal band tradizionale che ci si aspetterebbe di trovare sulle pagine di Truemetal.it, anzi non è affatto una metal band. Dalla loro, gli americani Papa Roach hanno però un’evoluzione continua e uno stile che li ha portati a scrivere album eccezionali come The Paramour Sessions del 2006 e il successivo Metamorphosis del 2009. Sono passati tanti anni e la band di giovanotti incavolati e pieni di grinta taglia il traguardo del decimo disco, senza per questo perdere quella voglia di scatenarsi su un palco di fronte a un sempre nutrito seguito di fan. Who Do You Trust? è quindi uno step importante per il gruppo californiano, il quale ha un compito nient’affatto semplice, quello di serrare le fila e scegliere in che direzione proseguire, dopo il buono Crooked Teeth del 2017. È qui che le cose si complicano e non sarei onesto se vi dicessi che WDYT? sia un buon disco. Già, non lo è, la verità e amara ma quando si ha a che fare con la musica va affrontata e presa nel verso giusto, o forse è solo una semplicissima questione di gusti – del resto l’arte è soggettiva – ma in tal senso, se vi trovate su questo sito invece che su Truepesca.org, è perché principalmente avete delle aspettative e qui verranno inesorabilmente deluse.
Jacoby Shaddix sembra aver ripreso a infarcire le canzoni dei suoi Papa Roach con il rap che ha caratterizzato il loro primo approccio, dove andava però a fondersi meglio con un sound che a volte sconfinava nel nu-metal (eravamo sul finire degli anni 90) e che pian piano ha lasciato spazio a tanta melodia e una capacità compositiva davvero notevole. Quello che sentirete su WDYT? è un costante mix tra rock, hip-hop ed elettronica, la quale in parecchie circostanze si rivela essere addirittura meno azzeccata delle strofe rappate, facendo perdere quella grinta che pensavamo non potesse mai abbandonare il quartetto di giovincelli non più tanto giovincelli. The Ending è un esempio perfetto del (debole) groove che impregna l’intero disco e seppure sia in grado di crescere ad ogni ascolto, la difficoltà sta proprio nel digerire l’intero disco, per fortuna composto da una dozzina di brani molto brevi e apparentemente semplici (c’è da dire che i piani non erano infatti quelli di andare in studio, ma circostanze legate allo stop del tour con gli Of Mice And Men, hanno accelerato il processo). Si salvano Come Around, anche se piuttosto scontata e Maniac, probabilmente l’episodio migliore dell’intero album, per il resto abbiamo un caricatore di cartucce difettose che ci esplode in mano e si affloscia dopo che ci rendiamo conto di come il passo falso ci abbia fatti cadere nel fosso.
A scanso di equivoci, colui che scrive si può definire un fan della band, sin dai tempi di Broken Home (adoravo quel video). Ho letteralmente consumato The Paramour Sessions e speravo che Shaddix & soci non prendessero una cantonata simile. Tuttora mi piace pensare che sia soltanto un passo falso, un po’ come la pessima copertina, eccessivamente saturata e che rispecchia il lavoro approssimativo portato a termine in studio. Who Do You Trust? – ti chiedono. Non voi Papa Roach, perlomeno non con questo album e di certo non perché ci siamo bevuti il cervello. Non si tratta di un ritorno alle origini, ma di una svolta che può raccogliere qualche nuovo adepto, quei consumatori di musica generalista, ma allontanare chi infonde fiducia a una band che in passato ha dimostrato come sappia scrivere grande musica. Cribbio, fateci aspettare anche due o tre anni in più, ma tornate in voi ragazzi! Voglio fidarmi ancora.
Brani chiave: The Ending / Come Around / Maniac