Recensione: Why/Hear Nothing See Nothing Say Nothing
Se al concerto tenuto presso la Festa Bikers di Cologno al Serio (BG) venerdì 23 agosto 2024 più di metà del loro setlist poggiava su Why e Hear Nothing See Nothing Say Nothing, Ep e album usciti rispettivamente nel 1981 e nel 1982 vorrà pur dire qualcosa.
Gli inglesi Discharge presero forma nel 1977 in quel di Stoke-on-Trent – la città natale di Lemmy dei Motorhead – in un periodo nel quale l’intero Regno Unito stava assistendo all’ascesa del Punk per il tramite di band quali Sex Pistols, The Clash e The Damned, solo per citarne tre di numero. Poi sappiamo tutti come è finita, di lì a poco, ma solo a livello mainstream, con il netto calo di interesse manifestato da media generalisti, stampa, moda e costume. Estremizzando e semplificando ulteriormente le cose, già nel ’79 il Punk segnò il passo e, come accade sempre in questi casi, i cloni e i cloni dei cloni vennero letteralmente spazzati via per lasciar posto ai capostipiti, che non per nulla durarono nel tempo.
Fra questi vanno annoverati senza dubbio anche i Discharge, che la storia vuole iniziatori di un determinato hardcore punk per poi, nel corso della loro lunghissima carriera, abbracciare sempre di più territori legati all’heavy metal, più specificamente lo speed e il thrash, declinati in modalità hardcore.
L’occasione per ributtarsi sul complesso inglese la fornisce la Cherry Red Records per il tramite della propria sussidiaria Captain Oi! che da qualche settimana ha licenziato sul mercato il digipak Why/Hear Nothing See Nothing Say Nothing, raccolta contenente i due lavori riportati nel titolo con l’aggiunta di molte bonus track per un totale all’ascolto di ben quarantacinque brani. Più che sufficienti – eufemismo – per scoprire o riscoprire i Discharge nella formazione con Kevin “Cal” Morris alla voce, Roy “Rainy” Wainwright al basso, i batteristi Dave “Bambi” Ellesmere, Garry Moloney e Terry “Tezz” Roberts e l’accoppiata – in tempi diversi, così come per i drummer – costituita da Tony “Bones” Roberts e Peter “Pooch” Purtill alla chitarra.
Oltre ai pezzi originali ricompresi dentro il mini Lp Why del 1981 e dell’album Hear Nothing See Nothing Say Nothing trovano spazio, solo per riportarne alcune presenti fra le bonus, canzoni quali “Realities Of War”, “Fight Back”, “Decontrol”, “Never Again”, “State Violence State Control” e “Warning”. Ad accompagnare il prodotto un libretto di ventiquattro pagine contenente tutti i testi – anche quelli delle numerose bonus track – foto del gruppo, ritagli di riviste, flyers e copertine dei vari singoli.
Tornando al concerto citato a inizio recensione, ossia quello dei Discharge alla Festa Bikers di Cologno al Serio (BG) – in apertura Adversor e Schizo – si è risolto in un’ora e un quarto di mitragliate iperveloci e brevi a ricordare a chi era presente la cifra stilistica dei britannici, ossia una miscela al vetriolo che mai si dimentica le propri radici, affondanti nella grande lezione impartita da Ramones e Motorhead, entrambe realtà nate pochi anni prima di loro.
La storia dell’hardcore, ossia di quel sottogenere del Punk più violento e veloce dell’originale passa necessariamente da questi solchi.
Sia Why che Hear Nothing See Nothing Say Nothing i vari Slayer, Anthrax, Metallica – hanno coverizzato il pezzo “Free Spech for the Dumb” da Hear Nothing nel loro Garage Inc. del 1998 –, Napalm Death, Carcass ed Exodus se li sono studiati bene, molto bene, all’inizio della carriera…
Stefano “Steven Rich” Ricetti