Recensione: Wicked is my game

Di Alberto Fittarelli - 19 Novembre 2002 - 0:00
Wicked is my game
Band: Raise Hell
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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55

Se penso al primo album di questi giovanissimi ragazzi, quell’ Holy Target che, nonostante qualche ingenuità, aveva permesso loro di uscire dall’underground con buoni riscontri di vendite e critica, non posso che intristirmi di fronte a questo nuovo disco: il focus si è spostato da un death/black molto debitore dei Dissection ad uno spompatissimo thrash metal di stampo tedesco, quello caro a certi Destruction, per intenderci. O almeno così piacerebbe a loro!

Infatti Wicked is my game è costituito da nove pezzi molto melodici, con una produzione cristallina, mai troppo violenti, anzi; il tutto su strutture quasi totalmente mid-tempos, senza una sola accelerazione vera e propria.
Già la prima Hellborn è fortemente indicativa di tutto questo: una lunga (troppo!) introduzione di chitarra, con riffing catchy quanto basta, ci porta finalmente ad un cantato stridulo e, probabilmente, anche discretamente effettato. Il problema è che, anche alzando il volume a palla, c’è davvero poca carica in questa canzone, formalmente molto curata, ma troppo simile ad una scatola vuota.

Deboli segnali di vita appaiono nella title track e nella sesta Another Side, ma si ripiomba subito nel precedente stato narcolettico: sembra quasi che i Raise Hell abbiano delle buone, a volte anche ottime intuizioni melodiche, ma non credano fino in fondo alla possibilità di svilupparle degnamente.
La stessa voce del cantante è quanto di più piatto sentito ultimamente, Schmier è lontano mille miglia; la sezione ritmica, per quanto precisa, non aiuta certo, assestandosi su uno schema unico dall’inizio alla fine del disco.
Unica parziale eccezione è rappresentata dalla conclusiva Destiny Deceiver, veloce e finalmente potente: una maggiore quantità di pezzi di questo calibro, magari con più inserti derivati dal metal estremo, avrebbe obiettivamente alzato il valore dell’album, rendendo più gradevole l’ascolto; ed infatti lascia ancora più perplessi la volontà della band di calcare sentieri già battuti due decadi fa, senza portare delle innovazioni significative e con un prodotto in fin dei conti insufficiente.

Spiace davvero assegnare un voto così basso a quella che era sembrata una promessa, ma, considerando anche il fatto che si tratta ormai del terzo album per i Raise Hell, è lecito chiedere da loro molto di più: disco quindi consigliato solo ai die-hard thrashers, ma con un ascolto obbligatorio prima dell’acquisto.

1. Hellborn
2. Nightwatcher
3. The Haunted House
4. Wicked Is My Game
5. In My Cell
6. Another Side
7. Death Race
8. Devil May Care
9. Destiny Deceiver

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55