Recensione: Wild Cat
I Danko Jones (sì, al plurale, in quanto la band prende il nome dal proprio leader) non li ho mai seguiti con particolare attenzione, trovando spesso il loro hard rock un tantino troppo scontato, facile, senza particolari brividi a fuoriuscire dalle casse. Il rock è qualcosa di viscerale, che deve abbrancarti budella e vene e farti schizzare dentro una scarica di morsi elettrici fino a sentirti in ebollizione. Deve entusiasmare al primo riff, al primo accenno vocale, al primo assolo, al primo refrain… insomma, è un meccanismo istintivo abbastanza semplice, o scatta oppure niente.
Con la band del pelato canadese non è mai scattato, quindi ci ho messo un po’ nel decidermi ad ascoltare l’ultimo “Wild Cat”, ennesima figliata di una carriera che procede regolare e prolifica, segno che un seguito il terzetto (oltre al capo Danko Jones alla voce e alla chitarra, troviamo il bassista John Calabrese e il batterista Rich Knox) se l’è pure creato, tanto da permettersi l’uscita lo scorso anno del Live At Wacken, celebrativo di ben vent’anni di carriera. Dunque sia schiacciato il tasto play e proviamo a sentire se si cambia idea.
Sorprese sembrano non esserci se il disco parte con l’immediata “I Gotta Rock” (fantasia nei titoli ce n’è parecchia…) che comunque procede bene, trascinante e grintosa, con Danko a mettercela tutta nell’intonare il suo “uoooooh uoh oh oh oh oh!”. Tuttavia il difetto per me è sempre il medesimo: impianto sonoro troppo scarno, sembra sempre mancare qualche watt alla potenza che il trio vorrebbe trasmettere. Suono troppo pulito da una parte, troppo poco pomp dall’altra.
La scelta stilistica non cambia di una virgola, hard rock molto classico e senza fronzoli, contaminato da un’attitudine punk. Ci sono dentro i Motorhead, gli AC/DC, un po’ di Metallica nell’atteggiamento delle linee vocali, un substrato blues e la ricetta è servita. Il singolo “My Little RnR” sentito varie volte per radio come si usava una volta, è il pezzo che mi ha spinto a dare una opportunità ai Danko Jones, e si conferma accattivante nel ritornello che gira molto bene, mentre le strofe scandite dal campanaccio della batteria non mi entusiasmano. Danko poi usa sempre questo fare da seduttore, queste moine e ansimi vocali che non hanno grande effetto… ok, magari qualche signorina potrà trovarlo sexy, ma non siamo davanti a un Mick Jagger o un Axl Rose tanto per dirne due, e nemmeno possiede il grezzo sozzume di sua santità Lemmy.
“Going Out Tonight” perlomeno non si azzittisce da sola nelle strofe, lasciando che il riff accompagni come si deve il pezzo, piacevole anch’esso pur restando nella norma, dove l’influenza di James Hetfield in alcune tonalità si fa più evidente. “You Are My Woman”, altro titolo fantasioso, smorza i toni con una andatura patinata di pop che starebbe bene nella discografia di qualche band appena uscita dal liceo, di quelle cosiddette nu-punk che andavano di moda qualche anno fa. Sum 41 et similia per intenderci. Non brutta, per carità, la band sa comporre le sue quattro note in croce con il giusto mestiere, ma risultano troppo ruffiani in questo caso.
“Do This Every Night” riprende le riffate alla AC\DC mantenendo però l’approccio sbarazzino e scanzonato da ventenni, cosa che i Danko Jones non sono più. “Let’s Start Dancing” potrebbe essere una traccia tirata alla Motorhead, lo è negli intenti in quanto veloce, ma non negli effetti, perché manca di potenza e il riff resta troppo smorzato. È come se in studio avessero voluto risparmiare in amplificatori per non compromettere l’effetto easy listening da radio, e questo è il difetto che ho sempre riscontrato nella band.
La sequenza di brani potenzialmente graffianti prosegue con la titletrack, con “She Likes It” che non è affatto male col suo andazzo sincopato e piacione, e poi con “Success In Bed” e “Diamond Lady” mantenendo sempre il tenore da seduttore notturno del cantante, senza cambiare di una virgola né la proposta né l’effetto, che resta un vorrei ma non posso, o non riesco. Oppure non lo voglio affatto, visto che il canadese sembra più interessato all’alta rotazione radiofonica che a picchire davvero duro.
“Wild Cat” non si può definire un brutto disco, anzi, in fin dei conti fa il suo dovere se ci si vuole intrattenere durante uno spostamento in macchina o come sottofondo mentre si è impegnati in altro, e i pezzi sono senz’altro ben confezionati. Per i giovani ai primi approcci con la materia rock i Danko Jones possono andare bene, ma per orecchie ben addestrate a sound più potenti e che hanno affrontato i trascorsi del genere risultano come una innocua puntura di moscerino.