Recensione: Wild North West
Un bellissimo libro, “Survivor” di Chuck Palahniuk, aveva una peculiarità: iniziava dalla fine, dall’ultima pagina, progredendo verso la prima che poi chiudeva la storia.. Un eccentrico espediente narrativo che ora useremo.
Come si può valutare un album di una black metal band, che black metal non è? Diventa piuttosto difficile, soprattutto se consideriamo che, oltre ad essere un lavoro di difficile ascolto, l’opera risulta essere incompiuta senza l’annunciata parte visiva rappresentata da un lungometraggio.
Difficile valutare questo Wild North West, soprattutto se nei confronti di questa band c’è anche una sorta di timore riverenziale a causa del suo passato glorioso: i Vreid nascono dalle ceneri di uno dei più grandi gruppi black metal degli anni ’90, i Windir; dopo la prematura scomparsa del loro leader, Valfar, gli altri membri – Hvàll, Sture, Steingrim – decisero di continuare, ma saggiamente con un nuovo progetto.
Wild North West è un progetto artistico ambizioso, per stessa ammissione dei Vreid, una sorta di album cinematografico, aspetto davvero inedito per una band abituata a fare molti spettacoli dal vivo. La pandemia, inevitabilmente, ha scosso anche il mondo della musica, annullando di fatto ogni forma di evento dal vivo: alcuni artisti, tra cui gli stessi Vreid, hanno partecipato ad eventi live streaming, per intrattenere il pubblico chiuso in casa a causa dei lockdowns nazionali. E dopo uno di questi eventi, ed un confronto con il produttore cinematografico Nesbø, è emersa la volontà da parte del gruppo di dar vita ad un ambizioso progetto: realizzare un video per ciascuna canzone del nuovo album e amalgamarli dando vita ad una sorta di film musicale, il cui protagonista è una rivisitazione romanzata del bassista , Jarle Hváll Kvåle.
L’artwork rappresenta il protagonista, vestito da metallaro anni ’80, che arriva, all’alba, in un bosco, dove si erge una grande abitazione: una rivisitazione, in chiave moderna, di parecchi elementi che ritroveremo nelle varie canzoni che compongono questo full-lenght.
Wild North West è il brano che ha come compito di presentarci questo viaggio. Un’inquietante nenia di tastiere ci introduce al verso, caratterizzato da un orecchiabile, e non per questo scontato, riff di chitarra, corposo; il ritornello è dominato dal basso, una rarità per un gruppo metal . Wolves At Sea è il viaggio di alcuni uomini, tra cui il protagonista, e dai pericoli incontrati durante lo stesso: le atmosfere si fanno malinconiche perché i nostri lasciano il loro paese (descritto nel primo brano), le chitarre crescono con l’impeto delle onde, e ben presto ci troviamo in piena tempesta. La voce di Dingsøyr ricorda molto quella tipica del black metal degli anni ’90; il suono è meno heavy e più ruvido, veloce, pronto a rallentare quando si arriva alla fine. Ovvero, quando i nostri toccano terra. Un solenne arpeggio interrotto in modo improvviso dal un riff di chitarra ci porta a The Morning Red, canzone dai ritmi più heavy anni ’80, che descrive l’arrivo dei nostri: una mattina dal sole rosso, una terra selvaggia, e là in mezzo, un castello bianco. Un fraseggio di basso apre Shadows Of Aurora e le atmosfere ben presto diventano incalzanti, e forsennate: la nostra compagnia viene fatta prigioniera nel castello. Forse il brano più heavy metal del disco, con un’apprezzabile assolo; pregevole il lavoro ai tom di Steingrim. La claustrofobica Spikes Of God diventa ossessiva, quasi una violenza, per chi è stato catturato: l’ansia è palpabile, perché il prigioniero è in completa balia del suo sequestratore. E’ schizofrenica che per certi versi ricalca il testo che esprime i sentimenti contrastanti di colui che è privato della libertà. Dazed And Redouced è un altro brano heavy caratterizzato dal cantato clear di Dingsøyr, talvolta sussurrato. Molto orecchiabile, ma che stona con il resto del lavoro.
Into The Mountains è un tuffo nel passato dei Windir. Si tratta di un brano scritto nel 2002 da Kvale e Valfar, in cui compaiono anche tracce di tastiere composte da quest’ultimo: il nostro protagonista riesce a scappare, è intrappolato nel bosco e vuole tornare a casa, musicalmente si avverte un’oppressione, un’ansia, ovvero dei sentimenti che governano il cuore di colui che è scappato. Chiude Shadowland, canzone dalle atmosfere cupe, le chitarre sono granitiche e presto cedono il passo ad un fraseggio malinconico: il nostro protagonista torna a casa, e troverà morte, i suoi affetti non ci sono più. Una triste melodia di piano chiuse la nostra epopea.
Mettiamola così, indubbiamente ci sono spunti interessanti. Ma è questo il disco che ci aspettavamo dai Vreid? No. Anche perché, disseminate qua e là per questo lavoro, ci sono particolari sonorità che potrebbero far storcere il naso anche ai meno “true” di noi. Come se non bastasse, il dvd col lungometraggio viene offerto ai soli 300 acquirenti del cofanetto e l’opera per molti rimarrà incompleta.
E’ lecito aspettarsi qualcosa di più dai Vreid.