Recensione: Window to the Soul
La notizia che qualche tempo fa aveva preannunciato reunion della formazione originale degli Asia, quella con Wetton, Howe, Palmer e Downes, è stata accolta con entusiasmo dai molti fan della band che non hanno mai dimenticato l’esplosivo e ineguagliato esordio. Quella stessa notizia, tuttavia, si è abbattuta con la pesantezza di un’incudine sulle vittime sacrificali Payne, Govan e Shellen, costrette all’abbandono per lasciare spazio ai vecchi leoni.
E in particolare non dev’essere stato facile incassare il colpo per un come John Payne, che nel 1992 aveva raccolto la difficile eredità di Wetton e che, insieme all’unico superstite Downes, aveva tenuto saldamente le redini della band, tanto negli alti quanto nei bassi. Fino al punto che, negli ultimi anni, parlare di Asia aveva significato in buona sostanza parlare di quei due.
Ma nel music buisness non c’è spazio per i sentimentalismi, e senza troppi preamboli il vocalist britannico, insieme ai colleghi Guthrie Govan (chitarra) e Jay Shellen (batteria), si è visto porgere il benservito, trovandosi da un giorno all’altro senza band. Tuttavia, superato l’iniziale, comprensibile scoramento, John ha chiamato a raccolta i due compagni e ben presto i tre insieme hanno messo in piedi un nuovo progetto, chiamato semplicemente GPS. La sempre attiva Inside Out ne ha riconosciuto le potenzialità, e subito ha provveduto a scritturare il terzetto, offrendo anche il tastierista di cui necessitava. E che tastierista! Il prescelto infatti non è stato altri che il veterano Ryo Okumoto (Spock’s Beard), e il suo contributo è risultato senz’altro decisivo per il buon esito dell’esordio “Window To The Soul”.
L’opener nonché title track pare iniziare col piede giusto, anche grazie a una grande prova al microfondo del determinatissimo John, sebbene alla lunga si perda un po’ nel prolisso finale, con un Ryo Okumoto tecnicamente eccelso ma forse fin troppo intricato per il tiro dei GPS. Ma non ci vorrà molto per correggere la mira. La band ha infatti in serbo un poker d’assi, che prende le mosse dalla passionale “New Jerusalem” e viene concluso dall’avvolgente “Believe in Yesterday”. Il sound si fa intimo, riflessivo, penetrante, spesso perfino malinconico, come nella nostalgica “Written On The Wind”, che rievoca per ampi tratti i Kansas e gli Styx più romantici. Le riminescenze degli Asia sono presenti solo sotto la forma di flebili sussurri, rapidamente dispersi dal magico tocco di Okumoto.
Dopo l’altalenante “The Objector”, in cui la matrice prog si fa più profonda, la componente AOR sembra prendere il sopravvento. Il sound acquista qualcosa in vivacità, ma quanto alla qualità dei brani scende un gradino o due rispetto ai livelli degli inizi. In salità però il finale, forte della buona doppietta “Since You’ve Been Gone”/”Taken Dreams”, in cui torna a farsi forte la tradizione pomp rock. Da mettere agli archivi l’ottima prova alla chitarra di Govan, che regala proprio nell’ultima traccia uno dei suoi migliori assoli, supportato da uno Shellen non appariscente ma estremamente concreto.
Non dev’essere stato uno scherzo risollevare la testa dopo l’amara delusione dell’addio agli Asia. Riflettendo in qualche modo lo stato d’animo della band, le note “Window to the Soul” paiono quasi diffuse da un vento di malinconica amarezza, che non scompare del tutto neanche nei momenti più vivaci. A ben pensarci, però, tali avvilenti circostanze sembrerebbero aver in qualche modo recato beneficio allo stato di salute musicale dello stesso Payne, che peraltro già in “Silent Nation” aveva incominciato a dare segni di ripresa a seguito di un periodo di appannamento negli Asia. I suoi GPS iniziano così nel modo migliore, e se queste sono le premesse sarà molto interessante seguirne i futuri sviluppi.
Tracklist:
1. Window To The Soul
2. New Jerusalem
3. Heaven Can Wait
4. Written On The Wind
5. I Believe In Yesterday
6. The Objector
7. All My Life
8. Gold
9. Since You’ve Been Gone
10. Taken Dreams