Recensione: Wings Of Heaven
La magia esiste?
Il numero Tre è sempre stato oggetto di numerose attenzioni nel corso della storia e della cultura degli uomini.
Carico – o, se volete, caricato – di simbolismi e allegorie fin dai tempi più remoti, questo misterioso numero, che alla semplice apparenza o alle menti più distratte può sembrare solo una mera serie di linee ondeggiate, ricorre frequentemente nelle varie tradizioni, da quelle religiose fino ad arrivare a quelle profane, passando per le arti magiche e misteriche.
Se gli antichi interpretavano il Tre come il simbolo ed emblema della perfezione, e religioni come quella cristiana lo pongono a fondamento del proprio credo, non si può e non si deve sottovalutare l’utilizzo della numerologia nemmeno in campo artistico. Concentrandosi sulla forma d’arte a noi più affine, la musica, si può certamente notare come, anche in questo ambito, al numero Tre sia riservato un vero e proprio posto d’onore. L’esempio più evidente e lampante non può che essere l’Adult Oriented Rock, costellato nel corso della sua gloriosa storia di significative trilogie, affermatesi nel tempo come opere imprescindibili per ogni amante del genere.
A cominciare dalla strepitosa tripletta dei fantasmagorici Journey – “Escape”, “Frontiers”, “Raised On Radio” – fino ad arrivare al trio di capolavori targati Survivor: “Vital Signs”, “When Seconds Count” e “Too Hot To Sleep”.
Oltre ai due giganti sopra citati, un’altra band altrettanto superba ha saputo regalare al mondo del rock un trittico ineguagliabile di super classici. I britannici Magnum, capeggiati dal singer Bob Catley e dal chitarrista Tony Clarkin, possono vantare come pochi altri nel panorama musicale la pubblicazione di tre autentici masterpiece del calibro di “On A Storyteller’s Night” (1985), “Vigilante” (1986) e del conclusivo “Wings Of Heaven” (1988).
Se il primo è considerato dalla maggioranza come il gioiello più prezioso nella discografia degli inglesi e il secondo come il degno successore, “Wings Of Heaven” può essere etichettato come la perfetta chiusura del triangolo.
Quest’ultimo, proseguendo il discorso musicale intrapreso con i precedenti, viaggia sull’onda della perfezione, trascina l’ascoltatore in sogni pacifici e rilassati, ponendo le condizioni per immergere l’udito in un mare di sconfinata melodia, fino a riuscire a far prendere il volo all’immaginazione dell’ascoltatore in tutta la sua libertà, quasi come se venisse trasportata e spinta da delicate e robuste “ali del cielo”.
Trascinanti composizioni partorite ancora una volta dalla suggestiva alchimia formata dall’intreccio della poetica voce del biondo Catley, con la sei corde sognante e sempre in vena d’ispirazione del (all’epoca) barbuto Clarkin, i quali si incrociano e si assemblano, amalgamandosi alla perfezione. Un connubio dall’appeal infallibile e senza eguali, come dimostrano la straordinaria opener “Days Of No Trust” e la travolgente “Different Worlds”, dal refrain pressoché irresistibile ed accattivante, in grado di colpire anche l’orecchio meno delicato e sensibile, sin dal primo istante in cui vi si accosta. Un’atmosfera dalle tinte fresche e piene di energia vitale, riesce ad imporsi per merito delle sempre maestose tastiere di Mark Stanway – altro, grandioso, protagonista all’interno dell’acclamata trilogia – come accade in episodi quali “Wild Swan” – nella quale indubbiamente l’ispirazione dei nostri raggiunge il picco massimo dell’intero lavoro – e dell’altrettanto magniloquente “One Step Away”.
La preziosa ugola di Catley, le quali inimitabili capacità interpretative riescono sempre a fare la differenza, si sposa magnificamente con i capitoli dove il lato poetico prende il sopravvento. L’energica e movimentata “Start Talking Love”, la spirituale e mistica “Pray For The Day” e lo sconfinato romanticismo di “It Must Have Been Love” – di fatto l’unica ballad presente nell’opera – testimoniano l’estrema dedizione del singer nel tentativo di penetrare ed immedesimarsi nel significato più profondo dei fiabeschi versi composti. Fiaba e poetica si intersecano in maniera sublime anche nella conclusiva e monumentale “Don’t Wake The Lion (Too Hold To Die Young)”, la quale si manifesta, in tutta la sua lunga durata, come un’infinita visione, un viaggio mitologico e introspettivo nelle profondità più nascoste dello spirito.
Così, con il meraviglioso “Wings Of Heaven”, i Magnum completano la loro “opera in tre volumi”. Senza smentire o affossare gli entusiasmi e le emozioni suscitate con le prime due parti, il quintetto di Birmingham riesce a stupire perfino il pubblico dal palato più sopraffino in maniera divina, ancora una volta.
La perfetta conclusione di un trio senza eguali.
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Tracklist:
01. Days Of No Trust
02. Wild Swan
03. Start Talking Love
04. One Step Away
05. It Must Have Been Love
06. Different Worlds
07. Pray For The Day
08. Don’t Wake The Lion (Too Old To Die Young)
Line Up:
Bob Catley – Voce
Tony Clarkin – Chitarra
Wally Lowe – Basso
Mark Stanway – Tastiere
Mickey Barker – Batteria
Additional Musicians:
The London Gospel Choir – Cori su “It Must Have Been Love”
Max Werner – Cori su “Different Worlds”