Recensione: Winter Thrice
Giunti al termine della seconda decade di carriera, i Borknagar festeggiano l’anniversario con l’uscita di un nuovo disco, il decimo: “Winter Thrice” e lo fanno richiamando tra le proprie fila (vedremo se sarà una situazione una-tantum per questa particolare occasione o se una aggiunta in pianta stabile) il primo storico cantante del gruppo, Kristoffer “Garm” Rygg. Con lui la band norvegese arriva a un totale di ben 4 voci diverse: Garm, Lazare, I.C.S. Vortex e Vintersorg. La domanda che sorge spontanea, ovviamente, è: saranno riusciti Brun e soci a far convivere, in maniera sensata, tutte queste linee vocali e, al contempo, a non dare alle stampe solo un esperimento fine a sé stesso, ma qualcosa che possa gareggiare in qualità con i CD precedenti?
La domanda precedente, ci porta a un’altra: esiste una band incapace di commettere un passo falso? Di non fare mai errori e di sfornare sempre e solo album di livello qualitativo altissimo, se non veri e propri capolavori? La logica ci direbbe di no, che, prima o poi, un piccolo, piccolissimo, errore di valutazione è sempre dietro l’angolo. Soprattutto quando si parla di un gruppo come i Borknagar, sempre impegnato a sperimentare, che non si ferma e non si volta mai indietro, che non dorme sugli allori di un sound che ha conquistato i fan, ma che continua a evolvere, una flessione è quasi fisiologica.
Eppure, ascoltando “Winter Thrice”, l’impressione è di essere di fronte a una entità soprannaturale, perché tutti i timori che la band potesse non essere all’altezza sia nel gestire 4 linee vocali diverse (seppur non per tutto il disco, ma solo su alcuni brani) che nel riuscire a mantere inalterato il livello altissimo delle sue uscite, si sciolgono come neve al sole.
L’apertura del disco è demandata a “The Rhyme of the Mountain” e, in rapida sequenza, alla titletrack “Winter Thrice”, due pezzi che i fan, in spasmodica attesa, avevano già sentito, risentito e sviscerato allo sfinimento perché diffusi il primo come singolo e il secondo su YouTube come antipasto prima dell’uscita dell’album. Su questi, dunque, c’é ben poco da aggiungere: l’impresa di far convivere 4 voci, nonché tutte le anime di questi 20 anni di carriera, è riuscito.
E il resto di questo “Winter Thrice” prosegue nello stesso solco.
Ogni canzone non è un sunto di quanto fatto dai Borknagar in tutto questo tempo, ma lo è il disco nella sua interezza. Da un brano all’altro si va avanti e indietro nel tempo, si può udire l’influenza maggiore o minore di questo o quel membro. Si sente il viking, il folk, il prog, le sperimentazioni avantgarde, le magniloquenti orchestrazioni, gli epici cori e ogni altro elemento che ha reso grande il nome di questa band nel corso degli anni.
“Cold Runs the River” è uno dei pezzi più legati all’ultimo periodo compositivo del gruppo: complesso e articolato, richiede più e più ascolti per svelare tutta la sua bellezza nella sua interezza. Si tratta di un brano cupo, oscuro, che sembra quasi fare da contraltare alla successiva “Panorama”. Titolo che meglio non potrebbe descrivere la canzone, perché davvero apre gli orizzonti e spalanca all’ascoltatore una visione d’insieme di larghissime proporzioni. In questo caso emerge l’anima più sperimentale e, per certi versi, più spaziale dei Borknagar, al punto che chi conosce bene la discografia di Vintersorg potrebbe pensare che vi sia più di un suo zampino in questa composizione. Le tastiere psichedeliche, l’afflato cosmico che tutto pervade, la complessità dell’universo, visto come rappresentazione matematica ma al contempo come magniloquente e assoluta bellezza nella sua grandiosità, è qualcosa che si era potuto ben apprezzare nel trittico “Cosmic Genesis”, “Visions from the Spiral Generator”, “The Focusing Blur” a firma di Hedlund.
Si torna più vicini a quanto la band ha fatto negli ultimi tempi con “When Caos Calls”, un’altra canzone varia, molto tecnica, che riesce a unire il viking degli albori con il prog degli ultimi tempi, un chiaro esempio del sound messo a punto dai Borknagar da alcuni album a questa parte, come “Universal” e “Urd”, insomma qualità altissima.
“Erodent” è un altro dei migliori brani del disco, canzone straordinaria che ci riporta direttamente al periodo “Empiricism”/”Epic”, tutt’ora uno dei punti qualitativamente più alti della carriera di Brun e soci. Di più, in questo caso, preferiamo non svelare, anche perché certe volte le parole non bastano e si può solo lasciare spazio alle orecchie, perché giudichino da sole.
Appena prima della fine ecco “Noctilucent”, un altro capitolo atipico di questa tracklist, anche se non quanto “Panorama”, una song che è quasi una ballad e che vede Lazare e Vintersorg duettare come forse mai prima, in un perfetto alternarsi e mescolarsi adattandosi l’uno all’altro.
A chiudere ecco tornare a farsi protagonista Garm, questa volta a duettare solo con Vintersorg, per una canzone, “Terminus”, che chiude nel migliore dei modi tutto l’album e mostrando una prova vocale strana e particolare. Entrambi i cantanti, infatti, si sforzano spesso di somigliarsi e di imitarsi a vicenda quando cantano insieme, al punto che più di qualche volta può capitare di non accorgersi subito dello scambio, ma solo a posteriori, quando ognuno torna al proprio registro originale.
Per concludere “Winter Thrice” segna un traguardo importante per i Borknagar: ventesimo anno di carriera e decimo disco. Lo fa probabilmente nel modo migliore possibile, innanzitutto presentando in formazione tutti i cantanti che hanno reso grande la band in questi anni e, contemporaneamente, dando alle stampe un album che è la storia e il futuro del gruppo. Difficile aggiungere altro a questa recensione, i Borknagar sono un gruppo che sembra incapace di sbagliare un colpo e lo confermano con questa uscita. Fan vecchi e nuovi di Brun e soci non potranno che essere felici di questo CD perché sembra fatto apposta per loro, per mettere d’accordo tutti, ma senza soluzioni facili e scontate.
Alex “Engash-Krul” Calvi