Recensione: Witch Hunter
L’album in questione nasce come seconda release della band di Chris Bolthendahl, questo “Witch Hunter” si “concederà” al suo pubblico un anno dopo l’uscita del precedente platter di debutto della formazione tedesca ( “ Heavy Metal Breakdown”), ed andrà a collocarsi nel periodo di lancio della band teutonica, biennio, quello del 1984-85, in cui vedremo, lentamente ma progressivamente, il formarsi di una personalità che andrà caratterizzando le basi di moltissimi lavori a venire, specie il successivo “War Games”.
Gli avvenimenti che scambievolmente caratterizzeranno in modo negativo la storia della band, faranno sì che questo disco, ed il periodo che lo contraddistinguerà ai posteri, potessero essere inquadrati come il punto in cui I Grave Digger hanno saputo proporre l’Heavy Metal più classico e ruvido di tutta la loro carriera, firmandolo con il tocco d’artista che solo un grande personaggio come Bolthendahl sarebbe stato in grado di conferire.
In “Witch Hunter” viene infatti proposto un Heavy Metal graffiante, veloce, ma allo stesso tempo tecnico e pulito, anche se, in alcuni casi, i pezzi possono apparire decisamente ripetitivi e piuttosto macchinosi, soprattutto per ciò che riguarda l’aspetto squisitamente compositivo; lasciando quindi l’amaro in bocca ai palati dei metallers più sensibili.
Ciononostante il lavoro, nella sua complessività, risulta decisamente gradevole e di impatto piuttosto immediato, con alcuni pezzi che spiccano in una seppur più che discreta qualità media, sebbene una produzione ancora un po’ grezza evidenzi i classici “errori di gioventù” che una band di questo tipo può compiere, agli esordi della carriera.
A livello di artwork, il disco risulta sì molto essenziale, ma la cover è gia molto ben disegnata e concepita, e che raffigura, ovviamente, il protagonista del concept di questo disco, il “Cacciatore di Streghe”.
Ancora una volta supportato dall’ impagabile aiuto dell’ amico e confidente Peter Masson, Chris Bolthendal riesce a dare vita ad un lavoro che, sotto il punto di vista tecnico, non ha di certo molto da invidiare agli altri dischi della discografia dei Diggers, proponendo una tracklist di nove pezzi tutti caratterizzati da un minimo comun denominatore: energia allo stato puro.
L’album si apre con la title track, che esordisce con dei passi e due colpi di batteria, che fanno da preludio ad un breve riff di chitarra che ci conduce velocemente alla voce di Chris, che dà il via alle danze con il suo classico stile, che già all’ epoca contraddistingueva il suo modo di fare in maniera inequivocabile.
Ma è la parte centrale, quello che contraddistingue questo pezzo dal resto degli altri.
Sebbene il ritornello non sia propriamente meraviglioso, a metà del “viaggio”, il pezzo ci presenta un assolo di chitarra del solito Masson, veramente sopra le righe, ottimo per velocità e precisione.
Dopo la discreta “Witch Hunter”, nel nostro lettore cd fa ingresso la traccia numero due, “Get Ready For Power”, il pezzo a mio avviso più completo e coinvolgente del disco, nonostante sia molto easy listening, per via di un refrain dai toni assai “delicati”, la song risulta, nella sua complessità, così ben articolata e strutturata, da essere stata, fin dal primo ascolto, uno delle mie preferite.
Una cosa particolarmente apprezzabile di questo brano, e dell’album in generale (forse sotto questo punto di vista sono un po’ troppo maniacale) è proprio la coordinazione musicale che distingue una buona band da una band di livello superiore e, sebbene questo lavoro sia ancora molto puerile sotto il profilo del sound, gli artisti sono comunque preparatissimi, riuscendo in maniera impeccabile a supportarsi l’un l’altro con grande scioltezza e riuscendo a star dietro a tutti i cambi di ritmo che specialmente un brano come questo richiede, senza accusare evidenti sbandature.
Qualche rigo più su avevo parlato di una verve graffiante che la band aveva messo in mostra in questo disco, ebbene con la traccia seguente “Night Drifter”, il tutto viene confermato. Doppia cassa per quasi tutta la percorrenza del pezzo, che cavalca l’onda disegnata dal bellissimo riff della chitarra di Masson, accompagnata, come consuetudine, dal grande carisma di Chris Bolthendahl e dal suo inconfondibile timbro di voce, che conferisce a questo pezzo il plus necessario per renderlo unico nel suo genere, in due parole: Heavy Metal.
Purtroppo è nella parte centrale di questo lavoro, che la band si è persa, dando vita ad una serie di brani veramente troppo grezzi e sui quali, in fase di miraggio e produzione, i Digger si sono soffermati troppo poco e con troppa superficialità. Un esempio: In “Love Is Game” la band ha voluto dare alla luce qualcosa che non gli era proprio: un lento dalla dolce melodia iniziale, ma che a mano a mano acquista vigore e potenza. L’impegno vocale che questo pezzo richiedeva ha messo in difficoltà anche lo stesso Bolthendahl, che a volte, non riuscendo ad eseguire le note alla perfezione, deve correre ai ripari in maniera non sempre molto ortodossa, arrivando, in alcuni tratti, al limite con la stonatura.
Scorrendo il disco verso il basso troviamo, come traccia numero sei del platter: “Fight for freedom”, che rappresenta il punto di massimo impegno tecnico per la band, in questa release. Un pezzo che si apre con una cavalcata scandita dall’ ottima batteria di Eckhardt, con l’ormai consueto supporto di Masson, ancora una volta decisivo, che introduce alla voce di Chris e fa esplodere il brano in tutta la sua incredibile violenza ed energia, che come ho segnalato precedentemente, è uno dei tratti contraddistintivi di questo disco.
“Here I Stand” oltre ad essere la closing track di questo album è anche l’ultimo pezzo significativo di questo disco, un’ altra canzone sulla falsariga di “Fight for Freedom”, ma che stavolta mette in evidenza il grande lavoro fatto dal basso di Brankche per tutto il disco è rimasto in background a supportare gli altri strumenti, ma che qui si fa decisamente più sentire, e in maniera anche rimarchevole.
Ovviamente non stiamo parlando di un capolavoro, come può essere “Knights of The Cross”, ma questo “Witch Hunter” va a completare un mosaico di lavori che la band ha sapientemente armonizzato fra loro e che, in modo o nell’ altro, ci ha permesso, nel corso di quasi un ventennio di musica, di capire di che pasta sono fatti questi quattro.
Daniele “ The Dark Alcatraz” Cecchini
Line Up:
Chris Bolthendahl – Vocals
Peter Masson – Guitar
C.F. Brank – Bass
Albert Eckhardt – Drums
TRACKLIST
Witch Hunter
Get Ready For Power
Night Drifter
Love Is A Game
Get Away
Fight For Freedom
School’s Out
Friends of Mine
Here I Stand