Recensione: With Primeval Force
I Vampire sono nati nel 2011 ma solo dopo tre anni di abominevoli riti ossianici compiuti nell’ombra, hanno dato alle stampe il loro debut-album, omonimo. Poi, un altro lungo periodo d’intensa attività esoterica ed ecco il secondogenito, “With Primeval Force”.
Il quintetto di Goteborg, con l’insano lavoro compiuto nei sotterranei della Terra, ha ormai definito con chiarezza il proprio sound. Assolutamente unico nel suo genere, oggi, ma che, nel 1987, poteva essere invece simile a molti altri. Bulldozer, Necrodeath, e gli Slayer di “Show no Mercy” (1983) possono venire in mente in prima battuta. Ma anche Mercyful Fate e l’ancor precedente NWOBHM si debbono citare per completezza d’indagine. Il che significa che i Vampire siano derivativi? Scopiazzatori? Meri ripetitori di leggende? No. I Vampire brillano di luce propria, grazie a uno stile che richiama con spavalda decisione il thrash o, meglio ancora, forse, lo speed metal che si suonava a metà degli anni ottanta. Nel momento, cioè, in cui i Possessed davano un nome all’estremizzazione dei due generi anzidetti: il death metal. Però, al contrario di come si potrebbe dedurre da quanto appena scritto, il suono di “With Primeval Force” non ha i sentori dell’old school. No, i Vampire suonano vampire in pieno 2017.
Basta poco per rendersene conto. ‘Knights of the Burning Crypt’. Opener-track devastante che leva la pelle di dosso, con il riffing acuto e roteante delle chitarre tirate come lame affilate, ben lungi da *-coriane accordature ribassate. I riff inventati da Sepulchral Condor e Black String sono l’essenza dell’acciaio, la forma dell’acido, la materializzazione della carta di vetro a grana fine. Niente stopponi, niente iper-compressioni: le corde delle due asce si librano nell’aria come diapason, frustando le molecole immediatamente vicine, propagando quindi nell’etere schegge di metallo fuso. La febbricitante prestazione vocale di Hand of Doom è da antologia del metal: scevra da artifici quali growl, scream e inhale, essa si carica addosso tutta la responsabilità dell’efficacia dell’assalto fonico frontale che, fra le altre, è una delle armi migliori in possesso del combo svedese. La sezione ritmica a cura di Command e Abysmal Condor non è ovviamente quella che ci si aspetterebbe da un ensemble di progressive metal ma è quella che ci vuole. Il rombo rovente del basso e i pestoni della batteria sono l’ideale complemento al lavorìo costante e convulso delle due asce da guerra. La bontà del suono è fuori da ogni dubbio, poiché anche quando la velocità si fa sentire, come in ‘He Who Speaks’, il gusto unico e irripetibile dei Vampire riempie naso e bocca. Quando, altrimenti, si disperderebbe in virtù dell’alto numero di BPM.
I quattro quarti assassini di Abysmal Condor sono delle vere mazzate sulla schiena. In fondo, perché complicare l’andatura quando la sua linearità consente di concentrare le forze per bombardare le orecchie con la massima energia? Di nuovo le chitarre e i loro main riff da capitombolo mortale: ‘Metamorphosis’, ed è lo schianto dei neuroni. Ma, soprattutto, il capolavoro: ‘Ghoul Wind’, travolgente schiaffone da far girare la testa per eoni. I riff si rincorrono letteralmente, attorno al nucleo disegnato dalle linee di basso. Sono chitarre che lacerano, strappano, tirano via la carne, talmente sono ficcanti nella loro azione a rotopercussione.
Nel groove dei Vampire c’è anche un po’ di melodia. Non certo accattivante ma più che sufficiente ad appioppare anche l’aggettivo godibile, al disco. Il quale, senza inventare nulla di che, mostra con disarmante chiarezza quanto di buono si possa creare quando alla base di tutto c’è il talento artistico e ci sono le idee. Più che la moda, più che la tecnica, più che la mania di sperimentare a tutti i costi.
I Vampire sono fighi così, guai a cambiarli.
Daniele “dani66” D’Adamo