Recensione: Wizard’s Spell
Esordio sulla media distanza per il duo norvegese dei Black Magic, dediti a un metal d’antan fortemente debitore della NWOBHM più aggressiva, in cui si inseriscono tracce che richiamano i Mercyful Fate.
I temi orrorifici affrontati nei testi alimentano l’accostamento con la band danese, mentre certi riff non possono non richiamare i fasti inglesi di inizio anni ottanta.
Agevole Bignami di quel periodo ormai lontano, Wizard’s Spell gode di una scrittura mediamente di qualità che riesce a rendere fluido l’ascolto di canzoni non certo brillanti d’originalità.
Il disco suscita interesse soprattutto in chiave storica, in quanto permette di identificare piuttosto agilmente i contatti che vi furono tra la NWOBHM e gli albori del thrash metal americano. In questo senso, Thunder è rappresentativa di quello che potete aspettarvi dai Black Magic: dopo un unizio che più Iron Maiden (l’album) non può essere, parte un riff che sembra strappato da una sessione di registrazione di Show No Mercy, disco che conteneva anche la celeberrima Black Magic, forse alla radice del nome della band novegese. Davvero mi è sembrato di ascoltare una versione rivisitata di Evil Has No Boundaries.
Se ai lettori più giovani l’accostamento tra la band di Steve Harris e gli Slayer può apparire sfilacciato, chi ha avuto la (buona) sorte di seguire la nascita di quello che sarebbe diventato il thrash della west coast statunitense non si stupirà di ritrovare in esso le vestigia dei vari Demon, Raven, Saxon e Diamond Head (d’altra parte, ben nota è la passione del giovane Lars Ulrich per il movimento britannico). Ascoltate il riff di Death Militia e non potrete non sentirvi catapultati nel feto di Kill’em All.
Il disco ha alti e bassi. Tra i momenti migliori ci sono sicuramente la opener Rite of the Wizard, la già menzionata Thunder e Death Militia. E poi c’è Night of Mayhem (Reap of Evil) (risalente al secondo demo della band), che puzza di primi Venom: e, dunque, puzza davvero tanto! Ma, improvvisamente, ecco una twin guitar che mai i Venom sarebbero stati in grado di comporre e suonare e che riporta alla mente l’allegra combriccola di King Diamond. Su una linea simile, con risultati ampiamente inferiori, anche Embraced By the Occult.
La strumentale Voodoo Curse (immancabile in un album del genere) non aggiunge molto ed è meritevole di segnalazione solo perché è un accozzo piuttosto informe di tanti riff che vi parrà di aver già sentito da qualche altra parte. Anche Possessed non è un granché, essendo uno sterile tentativo di suonare evil (tanto evil) senza molto controllo.
Lo confesso. Non trovavo una buona ragione che mi consentisse di consigliare l’ascolto di questo disco, tanto è retro e privo di un vero senso d’essere nel 2014. Ma, pensando al fatto che è bene sapere da dove si viene per aver chiaro dove si va, ecco che Wizard’s Spell acquista una sua ragion d’esistere, quasi a ribadire che c’è ancora chi crede in quei suoni lontani che hanno forgiato le fondamenta dell’heavy metal.
Dunque, date un ascolto ai Black Magic di Wizard’Spell nel modo in cui come guardereste un film nuovo, ma ambientato una trentina di anni fa: sapete che è finto, ma per tutta la sua durata vi sembrerà d’esser finiti in una macchina del tempo. E la copertina è fantastica.