Recensione: Womb Of Lilithu
Storia lunghissima, quella dei Necrophobic.
Nati nel 1989 per mano di Joakim Sterner, ancora oggi in forza nella band nel suo ruolo di batterista, e di David “Blackmoon” Parland, cofondatore nel 1993 dei Dark Funeral, gli svedesi hanno rappresentato sin dagli albori una delle migliori espressioni del metal estremo scandinavo. Partiti grazie all’influenza dei Bathory di Quothon i quali, a cavallo della metà degli anni ’80, forgiarono l’anello di congiunzione fra heavy e black metal evitando di passare dal thrash che, allora, era la forma più oltranzista del metallo, Sterner e compagni hanno dato vita a una produzione discografica di tutto rispetto. Sia sotto il profilo prettamente numerico, sia per ciò che concerne l’aspetto sostanziale, qualitativo; come dimostrano i sette album pubblicati di cui l’ultimo, “Womb Of Lilithu”, appena uscito, ne incarna la sintesi stilistico/compositiva.
Un lavoro, questo, che si avvale della line-up comprendente, oltre a Sterner, il formidabile axeman degli Unleashed, Fredrik Folkare, il bassista Alexander Friberg e Tobias Sidegård alla voce; quest’ultimo forzatamente uscito dalla formazione proprio quest’anno a causa di gravi problemi di natura giudiziaria. Una formazione, guai extra-musicali a parte, dotata di grande carisma, classe e talento nonché di una rara quanto estesa esperienza in materia. Requisiti che, quasi… matematicamente, non possono che dar luogo a buoni anzi ottimi frutti. Ai Necrophobic, difatti, pare proprio non mancare nulla per partorire un black metal rispettoso sia delle sue arcaiche caratteristiche primigenie, sia delle moderne sonorità del 2013.
E così è.
“Womb Of Lilithu”, infatti, evita accuratamente le complicazioni tecniche tipo Arcturus così come rifugge dalle semplificazioni strutturali à la Satyricon. Mantenendo, in tal senso, un encomiabile equilibrio fra passato e presente della timeline del black tralasciando intelligentemente, almeno a parere di chi scrive, di ipotizzarne il futuro. Il black stesso, come genere, si presta a innumerevoli contaminazioni (symphonic) e/o evoluzioni (post-black) e/o progressioni (avantgarde) volte a deformarne l’archetipo disegnato dalla stirpe di Thomas Börje Forsberg. Inquinamenti a volte fuorvianti o peggio dannosi che, di fatto, portano alla nascita di nuovi organismi che con il modello iniziale non hanno più nulla a che fare. Bravi anzi bravissimi i quattro di Stoccolma che, al contrario, durante i (ben) sessantotto minuti di durata del platter, non si discostano mai da uno stile pulito, lineare, addirittura umile ma non per questo povero di carattere; che pare essere fluito dalle loro menti con la massima spontaneità possibile.
Una sobrietà che pare impossibile potersi coniugare così bene a un’opera lunga più di un’ora e quindi potenzialmente tediosa, ma che i Necrophobic rendono invece foriera di un’incredibile varietà di soluzioni sorprendenti per contenuti che spaziano dalla furia demolitrice all’armoniosa musicalità. Del resto, il gravoso compito che si sobbarca il fenomenale Folkare per tratteggiare un guitarwork sterminato per quantità di riff, arpeggi e soli, pare proprio possibile solo e soltanto grazie a un talento fuori dal comune. Un talento che, sommato a quello insito nella roca e scabra fisionomia dell’ugola di Sidegård, esuberante nella sua individualità e aggressività, fa di “Womb Of Lilithu” uno strabiliante, allucinato, folle viaggio nei meandri più nascosti e profondi dell’Ade. Come in un’epopea avventurosa si possono immaginare successioni di visioni ora oscure e tenebrose, ora gelide e lontane, ora fiammanti e penetranti l’anima. Le ondate dei violentissimi blast-beats del drumming a tutto tondo di Sterner (“Astaroth”) si susseguono a squarci di agghiacciante attesa dettati da sulfurei mid-tempo (“Furfur”), per poi esplodere in vette emotive di coinvolgimento totale (“The Necromancer”) e, infine, nella trasfigurazione finale (“Infinite Infernalis”, “Amdusias”), quando la mente si trova definitivamente intrappolata nel Mondo dell’Aldilà mutando in esso, verso le tenebre eterne, la sua forma interiore.
Necrophobic.
“Womb Of Lilithu”.
‘Il’ black metal, oggi.
Daniele “dani66” D’Adamo
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