Recensione: Wonderworld

Di Filippo Benedetto - 16 Marzo 2004 - 0:00
Wonderworld
Band: Uriah Heep
Etichetta:
Genere:
Anno: 1974
Nazione:
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87

“Wonderworld”, settimo capitolo della saga Uriah Heep, venne registrato durante l’arco di tempo che va dall’aprile al maggio del 1974. Innanzitutto bisogna dire che in questo album figura per l’ultima volta Gary Thain al basso. Inoltre questo fu il secondo disco ad essere distribuito dalla Warner Bros. negli Stati Uniti. In questo disco la line up era la seguente: David Byron alla voce, Mick Box alla chitarra, Ken Hensley alle tastiere (oltre che alla chitarra e alla voce), Lee Kerslake alla batteria e, appunto, Gary Thain al basso. Come possiamo notare questa formazione è la stessa che aveva scritto alcuni albums importanti per la complessiva carriera del combo come “Demons and Wizard”, “Magicians Birthday” ,”Sweet Freedom”.
L’album venne registrato presso i “Musicland Studios” nei dintorni di Monaco, in Germania. Le ragioni per cui venne scelta una locazione diversa dall’Inghilterra possono essere ricondotte a problemi economici e oggi stesso due membri storici del combo (Mick Box e Ken Hensley) hanno affermato che questo particolare non è stato certo un bene per la band. Il risultato, però, a modesto parere del sottoscritto, è un lavoro di grande livello artistico che sicuramente può essere annoverato tra i dischi da ricordare degli Uriah Heep.
Cominciamo, dunque, la recensione di questo “Wonderworld” a partire dall’analisi della copertina. Essa ritrae gli elementi del combo in pose strane, con la particolarità eloquente che questi sembrano statue in marmo, ognuna poggiante su piedistalli dai contorni essenziali. Una copertina decisamente essenziale e però comunque suggestiva, possiamo definirla. Ma passiamo alla effettiva analisi del contenuto di questo platter.

Si comincia con “Wonderworld”, la title track. Questa canzone (tuttora riproposta in sede live) ha un incedere cadenzato nelle ritmiche e un lavoro dell’hammond molto bene in vista. Le vocals di Byron si fanno notare in tutta la sua bellezza, soprattutto nel bel refrain nel quale vocals si fanno calde e accattivanti. La “liricità” di questo refrain, inoltre, sembra fare contrasto al tema iniziale del brano che è giocato su atmosfere più cupe cupe.  La successiva “Suicidal man” si impone all’ascoltatore grazie ad un roccioso riff in classico stile hard rock. Questo riffing, inoltre, è ben supportato da una sezione ritmica potente e precisa, in particolare il lavoro al basso è degno di nota non limitandosi al puro accompagnamento ma arricchendo la struttura fondamentale del pezzo in maniera pregevole. Le vocals di Byron sono grintose e accattivanti e si amalgamano, poi, con il resto degli strumenti. Passando a “The shadows and the wind” notiamo che le ritmiche si fanno più cadenzate e che di nuovo è  in forte evidenza l’hammond che crea orchestrazioni opportune dando un certo senso di “ariosità” al brano nel suo complesso. Ad amplificare il tutto contribuiscono, inoltre, i cori impostati su tonalità alte. “So tired” è un pezzo dove la vena “rock’n’roll” è in bella evidenza, essendo costruito su ritmiche dinamiche e su un riffing pieno di brio. Questa song sembra ideale per la dimensione “on stage”, soprattutto per i gradevoli duetti tra la chitarra solista e l’hammond che mantengono viva l’attenzione dell’ascoltatore fino alla conclusione della track. Un momento particolarmente interessante di questo “Wonderworld” è rappresentato dalla seguente The Easy Road”, pezzo pregno d’intimismo e di atmosfere riflessive. In questa song degne di nota sono le pregevoli orchestrazioni sinfoniche che accompagnano, in sottofondo, la struttura del brano colpendo dritto al cuore l’ascoltatore. L’hard rock dinamico e d’effetto irrompe nuovamente con “Something or nothing”. Qui troviamo un Box in ottima forma che sforna un riffing vivace e coinvolgente anche in sede solista. La sezione ritmica sorregge in maniera più che buona il riff portante del brano e nel refrain principale si nota, come al solito, il buon Byron che delizia l’ascoltatore con una prestazione grintosa al punto giusto. “I won’t mind” concentra l’attenzione dell’ascoltatore su un riffing di nuovo riflessivo e dai tratti malinconici, sorretto, inoltre, da ritmiche ora cadenzate, ora leggermente più sostenute. Byron qui coglie bene l’atmosfera sofferta del brano, intepretando le parti vocali opportunamente. Anche qui una nota di merito va a Box che innesta lungo le linee portanti del pezzo un lungo assolo che aggiunge un carattere più cupo alla song. La penultima canzone, “We got we”, riposiziona il sound del combo lungo linee melodiche vivaci sorrette da una base ritmica dinamica e discretamente sostenuta. Gli interventi di chitarra risultano elemento trascinatore del resto degli strumenti e donano fluididità al pezzo, mentre le vocals riprendono il “lirismo” delle precedenti songs. Chiude il disco la pregevole “Dreams” dove l’ascoltatore ha modo di notare un ottimo lavoro dell’hammond di Kensley che, insieme al preciso riffing di Box, costruisce linee melodiche ora di più forte impatto, ora votate ad un più marcato intimismo romantico. Molto suggestiva la parte finale del pezzo, dove un suffuso coro (sostenuto da una sezione ritmica che ritma un crescendo emotivo coinvolgente)  delizia l’orecchio dell’ascoltatore.

In conclusione si può dire con certezza che questa settima fatica degli Uriah Heep   non delude le aspettative e rappresenta un’altra tappa importante della costruzione del tipico sound della storica band. 

N.B. Nella versione remaster sono presenti alcune interessanti bonus tracks, tra le quali non può non essere citata la b-side song “What can I do”, pezzo dinamico e di pregevole fattura. 

Tracklist:
1. Wonderworld
2. Suicidal Man
3. Shadows And The Wind, The
4. So Tired
5. Easy Road, The
6. Something Or Nothing
7. I Won’t Mind
8. We Got We
9. Dreams
10. What Can I Do – (bonus track)
11. Dreams – (previously unreleased, bonus track)
12. Something Or Nothing – (live, previously unreleased, bonus track)
13. Easy Road, The – (live, previously unreleased, bonus track)

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