Recensione: Words That Go Unspoken Deeds That Go Undone
Come superare le solite grette, ovvie ma forse inevitabili per molti barriere
che confinano il metal entro parametri fin troppo scontati, spesso giustificati
col fatto di essere “true” (a prescindere dal genere) e quindi fedeli
alle regole? Ma soprattutto, chi ha detto che debbono esistere delle regole,
nella musica?
Questo interrogativo è alla base di un 10% (a voler essere generosi) delle
band di metal estremo mondiali, e di esse una percentuale ancora minore riesce a
tradurre le parole in fatti assolutamente inequivocabili, in affreschi di
sperimentazione ed ispirazione, in colori e prospettive. Agli albionici Akercocke
di colori ne bastano due: il bianco ed il nero che caratterizzano le loro cover
e le foto promozionali, ad esprimere un dualismo che sta poi alla loro musica
mostrare in tutte le sue sfaccettature. Quindi come – ma prima di tutto perché
– classificare la loro musica? Una recensione deve però saper fornire risposte
al lettore, quindi basta con gli interrogativi: vi basti sapere che Words
that go unspoken… è una summa del metal estremo moderno,
perfettamente miscelato, con tutto lo spettro emotivo che questo tipo di
sonorità può creare.
Esagerato? Fateci caso: da quanto tempo non esce un album dello spessore di
un Wolfheart, di un The Angel and The Dark River, di un Domination?
Chiaro, quei dischi hanno avuto importanza anche in relazione all’epoca in cui
sono stati pubblicati ed alla quantità molto minore di uscite quotidiane, ma
fidatevi: la caratura, se non è uguale, è molto vicina. La Earache sta
cercando di rifarsi una “verginità” estrema, dopo un orripilante
periodo elettronico/crossover (orripilante proprio per la qualità musicale
delle sue proposte, non per i generi in sé!): da una parte tramite acquisti
puramente brutali (The Berzerker, Hate Eternal, Blood Red
Throne, Severe Torture), dall’altra passando da una sottoetichetta,
denominata significativamente Elitist: musica per palati raffinati, ma anche per
chi semplicemente è scontento del piattume quotidiano.
E, anche se loro vi diranno il contrario, gli Akercocke hanno tutto
dell’élite: la qualità come lo snobismo, la spocchia come la capacità
espressiva e creativa. La bicromia della cover non vi inganni quindi, quando
subito una Verdelet vi lascerà a bocca aperta tra estremismi brutal,
lame black ed aperture gothic di un’ariosità infinita; quando una Shelter
from the Sand attraverserà nello spazio di pochi minuti tutto la gamma
cromatica che il 2005 possa offrire a chi ha il metal più cupo nel sangue.
Se non è un capolavoro, poco ci manca: un disco che verrà probabilmente
assurto a classico negli anni futuri, a dispetto dell’arroganza (innegabile) dei
suoi autori. Finalmente il buio ha dei nuovi, degni rappresentanti.
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli
Tracklist:
01 – Verdelet
02 – Seduced
03 – Shelter From The Sand
04 – Eyes Of Dawn
05 – Abadonna, Dying In The Sun
06 – Words That Go Unspoken
07 – Intractable
08 – Seraphs And Silence
09 – The Penance
10 – Lex Talionis