Recensione: World on Fire
…Separazioni e Manichini.
Se quel cappello cilindrico potesse parlare racconterebbe del momento in cui una simpatica canaglia lo rubò da un manichino per poi personalizzarlo apponendoci sopra delle fibie di una cintura, anch’esse rubate. La sagoma di Slash iniziava a prendere forma, la sua chitarra ad animarsi e incantare. Tuttavia la sua esistenza musicale straborderà in leggenda solo quando incontra Axl Rose e gli altri componenti che daranno vita ai Guns’N Roses. “Assieme siamo durati troppo”, dirà lui stesso. Vita al limite, eccessi che nei racconti si deformano e non fanno altro che amplificarne la fama. Le strade ad un certo punto divergeranno e i motivi sono i soliti, forse gli stessi per cui sono rimasti assieme per tutto quel tempo. Però c’è qualcosa nei destini musicali di Axl e Slash a indicarci quali possano essere state le motivazioni artistiche della separazione.
Axl Rose per un po’ di tempo scompare, qualcuno lo avvista ad aggirarsi per le colline di Hollywood in mountain bike, lui stesso affermerà di preferire una vita quieta in compagnia della governante Beta (ma anche “mamma” e manager). A più riprese si vocifera dell’imminente uscita di un album dal titolo “Chinese Democracy” composto da Axl Rose e i nuovi Gnr. Nulla. Diciasette anni di speculazioni, proteste e imprecazioni da parte dei fans, quando nel 2008 il nuovo album viene pubblicato. Le reazioni? Imprecazioni, proteste, speculazioni e i più lo liquidarono come ciofecha a essere buoni. Altri, come me, credono che sia un ottimo album, lo spirito di ribellione di Axl è sempre presente, invece la musica si apre a suoni più moderni su partiture hard rock e inserti orchestrali.
Se Axl Rose produce un solo album in quasi due decadi all’opposto Slash è più profolico, ma la sua strada è quella di un hard rock più o meno classico. Così con i diversi gruppi (Slash’s snakepit, Velvet Revolver e Slash), pur non disdegnando suoni e soluzioni contemporanee, tende a muoversi su percorsi più lineari, preferendo un approccio più istintivo, più rock per le proprie composizioni.
…il paradosso di Grisù.
Messi da parte i Velvet Revolver, nel 2008 Slash decide di debuttare come solista. Il primo album intitolato semplicemente “Slash” (pubblicato nel 2010) è lavoro ambizioso negli intenti: arraggianre e comporre per artisti vari cercando di muoversi nell’ambito del rock dalle origini blues a cose più moderne (vorrebbe chiamare anche Tom Yorke dei Radiohead, ma desiste, non se la sente). Il risultato è più che buono sia a livello musicale che di vendite. Trascorsi due anni prosegue l’avventura con la band che lo aveva accompagnato in tour: Myles Kennedy alla voce, Tod Kerns al basso e Brent Fitz alla batteria. Il tour trasforma quindi il progetto solista in band a tutti gli effetti modificandone il nome per addizione Slash featuring Myles Kennedy and the Conspirators. Il secondo album del 2012 intitolato “Apocalyptic Love” è più omogeneo rispetto all’esordio solista e non riesce a trovare il giusto equilbrio tra i riff all’apparenza grezzi di Slash e la voce di Myles che siamo abituati ad ascoltare su note più oscure e pesanti quali quelle degli Alter Bridge.
Trascorsi due anni Slash vuole dare fuoco al mondo o forse è il mondo ad essere in fiamme e lui vorrebbe salvarlo con “World on Fire”, album che ripresenta la line up del precedente e vuole proseguirne il cammino senza particolari svolte, ma con aggiustamenti vari. Vediamo se è davvero così caldo da quelle parti.
L’avvio è certamente deflagrante. La prima traccia “World on Fire” esplode nella voce di Myles che viaggia su frequenze alte ed è esaltata dall’imperversare dei riff di Slash per poi esibirsi un assolo veloce, ma di grande feeling. Il finale incombe e la batteria di Brent Fintz inventa senza eccedere, ma seguendo l’incedere degli eventi. Avvio da togliere il fiato. Un bel respiro, prego.
Segue “Shadow Life”, arpeggio acustico, la voce pare uscire da un vecchio vinile, poi si impenna e quel “like a shadow in the dark” ti si tatua sulla pelle, melodia oscura e maledetta sottolineata ancora una volta da un assolo leggermente sporco, ma ben armonizzato con la struttura del brano. Altro centro.
Qualcosa è cambiato rispetto al precedente “Apocalyptic Love”, le distorsioni della chitarra hanno un impatto più forte, quasi avessero aggiunto una terza dimensione. Il risultato è dovuto anche alla scelta di Slash di sovraincidere in overdubbing.
La quarta traccia “Automatic Overdrive” corre veloce negli anni ottanta, i riff paiono abbozzare una colonna sonora di un videogioco, la voce di Kennedy rimbalza verso l’alto nel ritornello. I Cospiratori hanno messo il pilota automatico.
Segue “Wicked Stone” e qui le pietre che rotolano in scosse elettriche selvagge per culminare in un assolo decisamente sopra la media.
Slash non è di certo stato avaro nel riempire il suo cd che si compone infatti di diciasette traccie per settanta e rotti minuti di hard rock. Quindi vediamo quali brani restano più impressi.
Salto alla quinta traccia “30 Years to Life” introdotta da uno slide beffardo di chitarra, segue coro anni ottanta per poi rotolare in un folle blues volutamente di maniera, ma dannamente riuscito. Melodie del ritornello che ti inchiodano, per poi catapultarti in una corsa guidata dal basso verso una voce che pare pure lei in slide. Manco a dirlo l’assolo di Slash è lì da una vita e aspettavo solo di essere dissepolto.
“Bent to Fly” finta un lento per alzare i toni nel melodia dei cori dove la voce di Myles sale in cattadra e Slash non si fa pregare in un assolo all’ultimo bending.
La nona traccia è “Beneath the Savage Sun”, riff sporchi massici, la batteria ora picchia e riff sanguinosi attraversano l’oscurità dove una voce inquieta ci conduce a una melodia di rocciosa, ma davvero ben riuscita.
In “Withered Delilah” si sfiora il pop nelle melodie del ritornello, i riff li riconosciamo subito, si muovono veloci quasi fossero gettati giù di puro istinto e la voce in controllo esalta le melodie all’apparenza giocose del ritornello.
Citerei anche “Battleground” brano lento che danza sulle note di una chitarra acusticha che si trasforma in un in epifania elettrica a far salire il pahos verso un assolo ben fatto che mi sarebbe piaciuto rimandasse con forza ai tempi gloriosi dei Guns N Roses e invece rimaniamo per terra ancorati ad un buon Slash, ma meno divino che in passato.
…un estintore allo zolfo e ombre gloriose.
Ricordo un’intervista a Slash che parlava del suo glorioso passato come se fosse stata una anomalia e che in fondo il vero rock’n roll per lui è venuto dopo. Ed era come volesse togliersi di dosso da una cosa ingombrante che in fondo come un’ombra lo segue ogni giorno, in ogni concerto e in qualunque cosa componga. In questo “World on Fire” tuttavia c’è poco di quel passato, giusto la tecnica di Slash che banalmente è il suo modo di esprimersi con il suo strumento, il resto è hard rock ottimamente prodotto e decisamente ben suonato. Solo che stavolta pecca in genorosità. Erano davvero necessari diciasette brani? Io penso di no. Sopratutto perchè diventa normale trovarne di deboli (Iris of the Storm oppure Stone Blind) o non strettamente necessari (Safari Inn discreto brano strumentale, qui fuori contesto).
Ritengo che il risultato finale venga ribassato dalla sindrome hollywoodiana che ha colpito Slash e soci. Tuttavia rimane decisamente un buon album disseminato di ottimi brani che divamperanno implacabili in tour città dopo città ridestando involontariamente antichi, ma mai dimenticati ricordi di grandezza.
I’m on the nightrain
I’m ready to crush and Burn
Nightrain, (Nightrain, Appetite for Destruction)
Marco Giono