Recensione: Worldchanger

Di Mauro Gelsomini - 5 Luglio 2002 - 0:00
Worldchanger
Band: Jorn
Etichetta:
Genere:
Anno: 2001
Nazione:
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76

windseeker:

Ecco anche il lavoro solista. Il secondo, per l’esattezza. Infatti dopo “Starfire” arriva questo “Worldchanger” dell’instancabile Jorn, davvero onnipresente nella scena classic-prog-aor del momento. Mentre si appresta a registrare il terzo disco degli Ark, dopo le parentesi Millenium e Malmsteen, la presenza nell’opera-rock di Nikolo Kotzev e le collaborazioni con i Beyond Twilight e i Masterplan (perdonatemi se mi dimentico qualcosa), il vocalist norvegese ci offre un altro assaggio della sua inesauribile presenza.
Naturalmente dotato di una voce stratosferica, Lande è oggi uno dei singer che stanno facendo parlare di più, contattati da grandi nomi del panorama rock/metal, tanto che non sarei stupito di vedere il suo nome affiancato a qualche grossa band del passato, magari in occasione di una reunion molto business-oriented…
In molti hanno affiancato la sua timbrica a quella del giovane Coverdale, eleggendo Jorn a suo erede legittimo, ma credo che, nonostante il paragone sia totalmente onorevole, il cantante norvegese è la classica mosca bianca, figlio di nessuno, né tantomeno erede. Con la sua voce calda e potente, graffiante e suadente, la sua estensione da brividi e, ultimo ma non ultimo, una classe compositiva invidiabile, Jorn riesce ad imporre la sua personalità in maniera indelebile in qualsiasi progetto cui prenda parte.
Necessaria, d’altra parte, la parentesi più intimista, in cui Jorn può dare libero sfogo alle sue “mancanze” musicali incontrate, strano a dirsi, negli altri lavori. Ad accompagnarlo, il chitarrista Tore Moren, che mi permetterei di segnalare agli intenditori dello strumento…
Registrato da Tommy Hansen, l’album è forte di una produzione molto potente, nel pieno rispetto della tradizione teutonica, in grado quindi di dare giusta luce all’importante lavoro dietro le pelli da parte di Jan Askel, già con Mayhem e Kovenant, e di Sid Ringsby al basso.
Si parte con le eccentriche lyrics epiche immerse nell’atmosfera pesante e decadente di “Tungur Knivur”, dalle tinte quasi apocalittiche per un risultato finale evidentemente spiazzante. Mutevole dall’ hard rock all’aor è invece “Sunset Station”, più vicina alla produzione dei Millenium, e notevole per il delizioso intermezzo power-folk del bravissimo Tore Moren. Evocativa e di stampo Savatage per quanto riguarda il sound scelto per le chitarre, “Glow In The Dark” mi sembra uno dei pezzi meno forti dell’album, anche se può risaltare alla grande le caratteristiche della voce di Lande. Ed è ancora Jorn ad elevarsi sugli altri strumenti nel lentone di rito, qui intitolato “House Of Cards”, immancabile in un disco così personale, e da apprezzare certamente per la sua non banalità, dovuta all’immensa classe e abilità compositiva di Lande e Moren, che riescono a intrecciare soli e linee vocali in un finale da mille e una notte.
Non mancano le Ark-eggianti soluzioni elettroniche, tanto che “Bless The Child” mi fa prendere la briga di pensare agli ultimi lavrori dei Judas Priest, ma forse l’eccessiva ricerca di soluzioni ritmiche diverse sminuisce leggermente il pezzo, anche se gli conferisce una buona dose d’impatto e violenza.
Una nenia molto catchy introduce la sofferta “Captured”, ballad contemplativa e delicata, che precede la titletrack, gioiello di progressive metal in perfetto Ark-style, che punta alla melodia piuttosto che agli esasperati giochi ritmici di “Burn The Sun”: il risultato è quello avvolgente e coinvolgente di un refrain da notte di San Lorenzo.
“Christine”, dedicata alla sua donna, è una mid-tempo hard rock dai chiari echi neoclassici, prematuramente sfumata sull’infuriata batteristica del finale.
Conclude il disco “Bridges Will Burn”, altro pezzo forte di cupo hard rock dal chorus più arioso e catchy, che mi dà l’occasione di ricordare che tutte le armonizzazioni vocali sono state incise dallo stesso Lande, con un risultato di magnifica compattezza.
Il mio consiglio è quello di ascoltare questo album attentamente, abbastanza per carpirne sì pregi e difetti, ma anche per rendersi conto che si può ancora suonare classic metal senza necessariamente scadere in soluzioni banali o cliché d’ogni sorta. Se poi siete, come il sottoscritto, ammiratori della voce di Jorn, non credo che faticherete a convincervi… VOTO: 78

simo:

Eccomi qui a recensire il il nuovo lavoro di Jorn Lande.
Innanzitutto devo scusarmi per la mia ignoranza, infatti prima di questo            “WorldChanger” non conoscevo questo formidabile cantante che peraltro  ha già  lavorato con  Millenium ed Ark (ovviamente non quelli del tormentone “Take a fool to rimane sane”) .
Ma passiamo al contenuto di questa nuova fatica. Personalmente mi aspettavo un bel dischetto
AoR, sulla scia di fenomeni come i Ten o Fair Warning, ed invece : sorpresa! Questo “World Cahnger” racchiude non  solo hard rock radiofonico, ma anche un deciso 
hard ‘n’ heavy  condito con un po’ di  elettronica  che rende il tutto più moderno .
L’inizio è affidato a “Tungur Knivur”, un mid tempo hard rock cadenzato e trascinante con pesanti  chitarre in buona evidenza, sempre pronte a concedersi in assoli anche  quando sono in secondo piano. Come nella  successiva  “Sunset Station”,  uno dei pezzi migliori dell’intero disco. A differenza della song iniziale questa volta si viaggia su velocità più sostenute e su melodie più orecchiabili.
Seguono “Glove in the dark”  e “House of Cards”: la prima ripercorre i  sentieri metal tracciati  R.J.Dio e Co. , la seconda è una bella ballad sulla guerra per niente sdolcinata.
Ma è la successiva “Bless the child” che non vi lascerà indifferenti. Ad un attacco quasi nu metal (tipo nuovi Judas Priest) segue un accelerazione da black metallers che sfocia in un chorus molto orecchiabile e bello. Vi confesso che se questo pezzo inizialmente mi ha spiazzato , è diventato presto uno dei miei pezzi preferiti di questo lavoro.
Arrivati quindi a metà del cd si capiscono le qualità di questo ottimo singer, capace di scrivere pezzi che variano da un genere all’altro con estrema semplicità  mantenendo comunque un attitudine hard rock accattivante (tra l’altro le chitarre a tratti mi ricordano il Joe Satriani più ispirato).
Il disco scorre via  regalandoci canzoni di ottimo livello come la title track, malinconica ed ariosa allo stesso tempo, ”Christine” o l’altra gemma (insieme a alla seconda) del disco, ovvero la conclusiva “Bridges will burn”. Il pezzo più Aor dell’intero lavoro, che ha confermato le mie aspettative su quest’album.
In conclusione un ottimo disco, scritto ed interpretato con classe e maestria da un artista ( rivelatosi tra i  più informa del momento) che sicuramente meriterebbe un audience più ampia. VOTO: 75

Tracklist:

01. TUNGUR KNIVUR
02. SUNSET STATION
03. GLOW IN THE DARK
04. HOUSE OF CARDS
05. BLESS THE CHILD
06. CAPTURED
07. WORLDCHANGER
08. CHRISTINE
09. BRIDGES WILL BURN

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