Recensione: Worlds of Horror
La storia dell’US Heavy-Power, sia nelle forme più rocciose (Metal Church, Vicious Rumors, Jag Panzer…) sia in quelle eleganti ed elaborate (Queensrÿche, Crimson Glory, Heir Apparent…), meriterebbe analisi approfondite e un capitolo a sé stante nell’enciclopedia heavy metal, dove troverebbe spazio anche una scena underground inaspettatamente florida.
Numerose etichette specializzate si dedicano alla riscoperta di act del passato (Arkeyn Steel, Divebomb, Lost Realm, Stormspell…) e alla promozione delle realtà più interessanti degli ultimi anni (Pure Steel, la nostrana Cruz del Sur…). In tale contesto non possiamo che accogliere con interesse l’uscita di Worlds of Horror proprio per Pure Steel Records.
I Dark Arena sono o, per meglio dire, erano la creatura del chitarrista Paul Konjicija, venuto a mancare prematuramente nel 2019, e del cantante Juan Ricardo, vero e proprio stakanovista del movimento power metal statunitense (Wretch, Ritual, Attaxe, Sunless Sky, Blind Cross). Un progetto che costituisce l’ennesimo mistero del mondo discografico, se consideriamo che l’ottimo debut Alien Factor, autoprodotto nel 2006, ha trovato la via della pubblicazione sempre per la label tedesca soltanto nel 2020, senza dimenticare che restano self-released altri due album (Flowing Black del 2009 e Ode to the Ancients del 2012) e un compilation di outtake e cover (Non Human Contact).
Worlds of Horror, inciso già nel 2018, presenta un riffing più aggressivo e una differente sperimentazione rispetto ai platter precedenti. La stessa etichetta tedesca, nelle descrizioni di rito, è passata dalla dicitura di Prog US-Metal per Alien Factor a quella di US Technical Thrash Metal per il presente album. La proposta di Konjicija e Ricardo (affiancati dal batterista Noah Buchanan) segue una linea che va dagli Helstar, passando per la costola Destiny’s End, fino ai New Eden, proseguendo verso trame più intricate à la Mekong Delta e Watchtower.
Questo approccio si traduce in brani che a un primo ascolto possono risultare respingenti, con strutture spigolose e cangianti. Su tutto domina il muro sonoro creato da Konjicija, i cui riff spesso inquieti, lasciando spazio a improvvise melodie. I pezzi hanno in dote una visione moderna della materia trattata, e se nella granitica title-track Ricardo veste i panni di novello James Rivera, nell’omonima Dark Arena e in Annunaki Arise emerge l’anima complessa e non lineare della band, con ritmiche asimmetriche e voci ai limiti del growl, atmosfere cibernetiche e inserti spettrali. Un andamento gravoso, ipnotico, fa da sfondo agli oscuri scenari narrati nelle lyrics.
La tradizione US power trova strade più dirette nelle tracce successive. Se Damnation Within mantiene ancora qualche dissonanza nei ritmi, Bite the Bullet, Kill Procedure e Sacred Rite giocano sulla potenza e su una maggiore accessibilità, che rimanda alla lezione degli Helstar. Le aperture melodiche beneficiano della classe di Konjicija, il cui lavoro alle sei corde non concede tregua.
Destiny Bridge parte in chiaroscuro, con passaggi arpeggiati e vocals sofferte, per poi esplodere in una successione tiratissima di riff e assoli. Abandoned, ballad acustica dai tratti onirici, evidenzia l’ottima prestazione di Ricardo, che modula la voce su diversi registri, alternando toni morbidi e aspri. Vero e proprio congedo di una storia musicale che non vuole essere addomesticata.
Anche se alcune notizie, non si sa quanto attendibili, danno i Dark Arena ancora in attività, con Brian Allen (ex Vicious Rumors, e attualmente anche nei Trauma) al posto di Ricardo e una line-up del tutto diversa da quella che ha inciso Worlds of Horror, non possiamo che ritenere quest’ultima prova come il canto del cigno per una formazione che ha raccolto ben poco rispetto al proprio talento, non limitandosi a omaggiare un genere, ma interpretandolo con personalità e complessità, infondendo in esso nuove energie.