Recensione: Worship
Il quattordicesimo album degli Hypocrisy viene dato alle stampe ben otto anni dopo End Of Disclosure e il suo meraviglioso cofanetto dotato di bicchierini da vodka. Ne è passata di acqua sotto i ponti e sono passate anche carriere intere di band più o meno meritevoli; Peter Tägtgren e soci però sono sempre qui e più in forma che mai!
Worship soddisfa tutte le alte aspettative e si rivela un ottimo album anche dopo pochissimi ascolti, conquistando l’ascoltatore con una serie di brani sì semplici ma mai banali e un grande gusto melodico, che è da sempre marchio di fabbrica degli svedesi. La formazione è la stessa di otto anni fa: assieme a Peter ovviamente c’è Mikael Hedlund al basso e un certo Horgh alle pelli, che non ha bisogno di presentazioni.
I primi cinque brani sono potenzialmente cinque singoli e risulta difficile sceglierne uno. Si parte in quinta con la titletrack per poi sfoggiare un brano clamoroso come Chemical Whore, dedicato a Big Pharma e memorabile dal riffing al ritornello. Greedy Bastard è un buon mid tempo con spruzzate progressive nel ponte e nel finale e Dead World è una bordata death/thrash in grado di togliere le ragnatele dai muri. We’re The Walking Dead invece è un lentaccio, immancabile in un disco degli Hypocrisy, che si rivela ben presto uno dei brani migliori del lotto. Grandi linee melodiche, grande atmosfera e nulla da eccepire. Brotherhood of the Serpent torna a premere il piede sull’acceleratore e serve sul piatto un ritornello che in sede live farà sfracelli.
Nella seconda parte dell’album c’è un leggerissimo calo rispetto alla prima ma poca roba; parliamo in ogni caso di brani ottimi e di altissimo livello. Children Of The Gray rallenta ancora le ostilità con l’unico difetto di essere collocata forse troppo presto in tracklist; Another Day riparte forte e risulta poco valorizzata nel ponte, che trita tutto e si tronca proprio sul più bello con uno stacco un po’ fastidioso. They Will Arrive ha dalla sua un ritornello piuttosto ben concepito e Bug in the Net si colloca sulla falsariga di We’re The Walking Dead non riuscendo però a bissarne la qualità; dovessimo scegliere il brano meno riuscito del lotto punteremmo proprio su questo. Il gran finale è affidato a Gods of the Underground e la scelta si rivela azzeccata, col corretto bilanciamento dolce/amaro che l’epilogo di un’opera del genere dovrebbe avere.
Quello che forse manca a Worship è un brano veloce in più, in fin dei conti sono solo due e un po’ alla lunga la cosa si fa sentire; la qualità del disco non viene in ogni caso inficiata e complessivamente siamo di fronte a un lavoro ottimo e che sicuramente compirà diversi passaggi nei vostri impianti di fiducia. Worship è un disco semplice, molto ben assimilabile e a suo modo necessario, e conferma il fatto che certe istituzioni, anche dopo quasi trent’anni di carriera, siano ancora in grado di dire la loro in maniera prepotente.
We’re the walking dead
We’re living the dream in paradise
We’re the walking dead
Programmed to obey
Programmed to die
Bentornati.