Recensione: Worship The Devil

Di Daniele D'Adamo - 9 Agosto 2015 - 0:01
Worship The Devil
Band: Sathanas
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2015
Nazione:
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55

Quale migliore esempio di ‘old school death metal’ può saltare all’occhio se non quello derivante da una band nata alla fine degli anni ’80? Probabilmente nessuno. Come mostrano gli statunitensi Sathanas con il loro “Worship The Devil”, decimo full-length di una vasta discografia il cui elenco ha avuto inizio con il demo “Ripping Evil” (1988).   

Nel sound del combo, come è logico, sono rinvenibili i dettami  che, allora, caratterizzavano il metal estremo che – prima dell’avvento del death – si divideva in black e thrash metal. Prova ne è l’opener “Written In Blood”, introdotta da un orrorifico quanto raggelante incipit ambient/strumentale. Poi, la sei corde di Tucker comincia a mulinare riff su riff, geneticamente thrashy ma assai più lugubri e tenebrosi tipo doom. Lo stesso Tucker ripropone linee vocali ruvide, cattive e aggressive, senza però sconfinare nel territorio del growl. James Strauss decide i BPM mantenendoli entro limiti umanamente sopportabili, ricorrendo alle folli accelerazioni dei blast-beats in rarissime occasioni.

L’ordinario lavoro al basso da parte di Bill Davidson riassume a sé, in piccolo, ciò che è, in grande, il sound del suo ensemble. Cioè, fedeltà e dedizione assoluta alle caratteristiche primigenie dello stile oltranzista di quell’epoca, rifiuto a tutto quello che sa di moderno. I Sathanas riescono, in tal modo, a rigenerare il flavour indimenticabile del loro debutto sulla scena internazionale e a trasportalo qui, ora, sulle scrivanie degli appassionati. Non dimenticandosi né di perdere per strada gli echi di rimando all’heavy metal né, procedendo ancora più indietro nel tempo, di quelli provenienti dalla NWOBHM. Fiutabili nella melodia dei soli di “Satan’s Cross”, nel monocorde avanzare di “Upon The Age Of Darkness” che, proprio per tale peculiarità, ricorda un po’ i Bathory della  ‘fase-black metal’.       

Seppure encomiabili per la loro inossidabile fedeltà alla linea, ai Sathanas manca qualcosa. Qualcosa che li differenzi dal grigiore della mediocrità generale che imperversa, nemmeno a dirlo, nel campo della vecchia scuola. Un qualcosa che non entra nel background nemmeno se passano molti anni, se manca all’inizio: la freschezza compositiva. “Worship The Devil”si può definire ‘politicamente corretto’, fedele cioè ai bastioni tipologici imposti dall’esistenza stessa del genere.

Nonostante questa rilevante qualità posseduta da Tucker e gli altri due pard, il platter si rivela sostanzialmente noioso. Ben eseguito nonché ben prodotto, anche passandolo e ripassandolo all’esame mentale non rimane ai nulla di che, da ricordare. E così accade, enfatizzando un talento compositivo che i Nostri chiaramente non possiedono a sufficienza per emergere dal più profondo degli underground. Niente affatto aiutati, peraltro, da u approccio scolastico che si  riverbera anche nei temi affrontati, scontati e vecchi di  trent’anni anzi di più.

Solo per super-collezionisti, quindi.

Daniele D’Adamo

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