Recensione: Worship the Grave
“Worship the Grave” è il terzo full-length dei deathster teutonici Dawn Of Disease. Segue il debut-EP (“Through Bloodstained Eyes”, 2004) e due altri full-length: “Legends of Brutality”, 2011; “Crypts of the Unrotten”, 2012.
Terzo album.
Si dice sia cruciale, nella carriera di una band. Difatti, segna la discriminante fra la mera prosecuzione dei cliché che hanno stampato i lavori precedenti, e il decisivo salto di qualità tecnico/artistica; quella che dovrebbe cioè consentire alla band stessa di raggiungere una visibilità da over-underground.
I Dawn Of Disease, a parere di chi scrive, con loro “Worship the Grave” se proprio non hanno centrato al 100% il secondo dei destini sopra citati, ci sono andati vicinissimi.
Il loro death metal mescola in parti sostanzialmente uguali l’old school e lo swedish. Sfascio assoluto, demolizione a tappeto, annichilazione da un lato. Melodie, passaggi accattivanti – senza ovviamente scadere nel mieloso o cose del genere – , impronta catchy dall’altra. Un’antitesi stilistica che i Nostri gestiscono alla perfezione, bilanciando con rara maestria la devastazione operata dai mostruosi blast-beats di Mathias Blässe e le ricuciture chitarristiche nelle quali Lukas Kerk e Oliver Kirchner si trovano a proprio agio con una naturalezza disarmante.
Tuttavia, abbellimenti stilistici a parte, i Dawn Of Disease riescono a dare il massimo in occasioni delle song più veloci, violente e aggressive. Merito dell’impressionante muraglione di suono, granitico, che avanza come la lama di una pala meccanica. Nel dettaglio, assolutamente da implosione ed esplosione la straordinaria ‘On Trails of Death’, vera sfascia-tutto, capace anche di trascinare qualsiasi cosa anche quanto la spinta scende dai BPM ei blast-beats a quelli degli up e mid-tempo. Un brano coinvolgente sino alla trance da hyper-speed, irresistibile, da provocare vittime ovunque. Grazie, soprattutto, al growling di Tomasz Wisniewski. Definibile con precisione chirurgica con un solo aggettivo: pauroso. E dagli imperiosi main-riff sparati a raffica dalle sei corde dell’affiatata, coagulata coppia Kerk/Kirchner.
Ne novero delle canzoni da tenere a mente per attivare la deflagrazione nucleare c’è poi l’opener-track, nonché, anche, la title-track: ‘Worship the Grave’. Incipt inesistente, assedio totale, infinito, sfiancante, mortale. Seppur, qua e là, spuntino le pulsioni gothenburghesi. Assieme ai due pezzi appena menzionati, non si può non accorpare ‘Through Nameless Ages’, altra violentissima mazzata sui denti. Strutturata, nondimeno, con rilevanti membrature melodiche, di classe, nobili, per nulla assimilabili al marciume dell’old school che i Dawn Of Disease, sempre e comunque, infilano in ogni dove. Assurdamente incastonate con raro talento compositivo nell’impianto bellico di base. Per non tacer di ‘Enwrapped in Guts’, acme della follia scardinatrice, bomba al fosforo, fall-out nucleare. Demolecolarizzazione. Frantumazione quantica.
Terzo album, si diceva.
Missione compiuta, si può dire.
Daniele D’Adamo