Recensione: Wounded Land
Il progressive metal, inteso nell’accezione tradizionale del termine, ha vissuto indubbiamente la sua “età dell’oro” nella prima parte degli anni ’90 quando, sulla scia dell’entusiasmo generato oltreoceano dal fenomeno dreamtheateriano Images And Words, vi fu un improvviso e spontaneo proliferare di bands validissime che iniziarono a sviluppare delle idee e dei concetti innovativi per l’epoca, all’interno del sottogenere in assoluto più vasto del nostro universo musicale, ossia il prog per l’appunto, ridefinendone le coordinate, rispetto a quanto già avevano fatto Queensrÿche, Fates Warning e Crimson Glory nel decennio precendente. In quegli anni infatti nascono, sempre negli USA, gruppi come gli Shadow Gallery ad esempio, mentre in Europa si affermano, tra le altre, formazioni del calibro di Elegy, Vanden Plas e Threshold, questi ultimi provenienti da Surrey, un sobborgo situato nel sud-est inglese.
Il debutto discografico del combo britannico, datato 1993 e intitolato “Wounded Land”, fu un autentico fulmine a ciel sereno per gli amanti del genere, facendosi notare da subito per tecnica, potenza, ma anche per la particolare bellezza delle sue composizioni melodiche, ora ariose, ora malinconiche, altre volte ancora intime, per poi sfociare in un’inaspettata aggressività. La portata di tale successo stupisce ancora oggi, soprattutto se pensiamo che si trattava di un esordio assoluto per dei musicisti oltretutto praticamente inesperti e sconosciuti in quegli anni, dove spiccano Damian Wilson alla voce (dotato di un timbro caldo ed espressivo e di una notevole estensione vocale), le chitarre di Karl Groom e Nick Midson, capaci di tessere trame accattivanti ma anche, all’occorrenza, assoli e riffs taglienti come pochi e le tastiere di Richard West che creano atmosfere cariche di pathos. A completare la line-up poi la sezione ritmica, formata da Jon Jeary al basso e Tony Grinham dietro le pelli.
Sin da questo loro primo capitolo, i Threshold mettono subito in evidenza alcune delle peculiarità che caratterizzeranno poi la loro intera carriera ed il loro sound sino ai giorni nostri. Anzitutto salta subito all’occhio (o se preferite, all’orecchio) sin dalla opener “Consume To Live“, la cura maniacale per le composizioni musicali, vero e proprio fiore all’occhiello della band, apparentemente semplici e dirette, in realtà rese particolarmente complesse, grazie ad arrangiamenti elaborati o a continui cambi di ritmo e melodie, come del resto vuole la tradizione progressive, ed in questo senso sono emblematiche tracce come “Sanity’s End” e “Surface To Air“, brani che si attorcigliano più volte su loro stessi, dall’andamento in continua evoluzione che non potranno mai e poi mai annoiare l’ascoltatore, anche perchè trasudano passione da ogni singola nota, soprattutto quando chitarre e tastiere si intersecano tra loro, dando vita a passaggi che catturano il pubblico, ipnotizzandolo. Non da meno il resto del disco, anche laddove la struttura dei pezzi si fa più uniforme (è questo il caso di “Days Of Dearth” o “Mother Earth“), ci pensano improvvisi riffs particolarmente aggressivi, assoli incisivi o l’ugola di Wilson, ad innalzare il livello qualitativo dei pezzi ed a riportare la struttura del brano verso la giusta direzione. Importantissime poi le tastiere, nel creare atmosfere quasi oniriche, come nell’introspettiva “Paradox” o nell’arabeggiante “Siege Of Baghdad“, che anticipa la conclusiva “Keep It With Mine“, una ballad della durata di soli 2 minuti, ma dotata di un’intensità fuori dal comune.
Riascoltato oggi, “Wounded Land” rimane un bellissimo album, sicuramente unico nel suo genere, forse all’epoca passato colpevolmente inosservato, probabilmente perchè gli amanti del genere in quel lontano 1993, in cui il web era una chimera, erano ancora inebriati dal “fenomeno Dream Theater” per poter apprezzare e comprendere a fondo altri gruppi che, nel loro piccolo, creavano delle autentiche gemme di metallo progressivo, con uno stile del tutto personale, oltre che con una freschezza ed un livello d’ispirazione che purtroppo negli anni a venire non sarebbero mai più stati raggiunti.