Recensione: Wrapped in Mist

Di Stefano Usardi - 29 Novembre 2023 - 11:02
Wrapped in Mist
Band: Helga
Etichetta: Season Of Mist
Genere: Altro 
Anno: 2023
Nazione:
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78

Destreggiandosi tra Svezia e lo Yorkshire settentrionale, il progetto Helga nasce una manciata di anni fa, arrivando oggi, dopo un paio di EP, al tanto atteso debutto “Wrapped in Mist”. La musica proposta è un ibrido multiforme ed etereo di folk, progressive, rock alternativo, pop e sporadiche schegge di black metal. Descritto così potrebbe sembrare un aberrante risotto di influenze e derive inconciliabili tra loro, ma vi anticipo già che non è questo il caso. Il bilanciamento sonoro proposto dal talentuoso quintetto capitanato dalla signorina Gabriel è calcolato in modo certosino, e affastella sapientemente ogni strato fino a creare un amalgama organico, seducente ed atmosferico che mescola elementi da Myrkur, Wardruna e Opeth alla luce di una musicalità pop. Ciò dona a “Wrapped in Mist” un respiro ammaliante, in alcuni passaggi oscuro, ma di certo tutt’altro che banale. I soggetti dell’album sono la mortalità e la salute mentale, trattati attraverso la creazione di atmosfere impalpabili, sfaccettate, gravide di accenni lasciati a mezz’aria che evocano paesaggi desolati ma non privi di speranza. Questa sospensione sonora è resa possibile da una tessitura elegante, caleidoscopica, che nonostante la sovrabbondanza di ingredienti si dimostra sorprendentemente scorrevole, immediata, e ricama su una base comune una serie di temi secondari che ne ampliano e sfumano i contorni. Ecco quindi che durante l’ascolto di “Wrapped in Mist” ci si imbatte quasi per caso in fraseggi malinconici, riverberi ora pensosi ora romantici, inflessioni tenebrose ed improvvise esplosioni di rabbia gelida. Qui, vocalizzi e cori dal profumo sacrale si inseriscono di tanto in tanto nella materia sonora colorandone l’indolenza rilassata con toni solenni, mistici, e venendo spazzati via da improvvise impennate dal retrogusto epico. Là, riff tesi cesellano atmosfere inquiete poggiandosi su un ritmo pulsante, tribale, per fondersi con melodie stilose e sofisticate che creano un fascinoso straniamento sfumando poi in una nebbia di arpeggi elegiaci, sognanti ed eterei.

Si parte subito bene con “Skogen Mumlar”, che su una base ritmica tesa e riff inquieti crea una tensione costante, modulata dalla voce pulita di Helga e dagli improvvisi indurimenti solo in parte diluiti dagli archi dal retrogusto decadente. Il finale si carica di enfasi, ma si tratta solo di una fiammata effimera che sfuma nell’arpeggio iniziale di “Burden”. Il fare dimesso del pezzo si carica di una ritualità ammaliante, per poi ammantarsi di drappi stilosi che ne spezzano la carica evocativa. “Water” si apre su toni languidi, fragili, districandosi tra passaggi malinconici e sofferti ed improvvise impennate di pathos, mentre “If Death Comes Now” mantiene il tono elegiaco della traccia precedente ma lo investe di una diversa determinazione. Il graduale ispessimento sonoro carica la traccia di una nuova tensione, che però si smorza prima di raggiungere il livello di guardia e sfuma nuovamente in un finale che profuma di scampato pericolo. L’arpeggio di “Farväl” lascia presagire che qualcosa è cambiato: su un percussionismo maligno si innestano melodie gelide ed improvvise urla, interrotte da un fraseggio dilatato e sognante che si carica di enfasi per poi tornare di colpo in un mondo freddo e inospitale. “Alive Again” si regge su un arpeggio inquieto e un fare insistente, da rito sciamanico, spezzato da repentini squarci melodici dal profumo meno torvo, mentre “Vast and Wild” giocherella con toni sussurrati e filtri sonori per poi piazzare una melodia solare e spensieratamente pop a coronare il tutto, riecheggiando una Kate Bush d’annata e mantenendo la carica sciamanica del pezzo precedente sotto la superficie, pronta ad affiorare. L’attacco di “Som en Trumma” è ammaliante e si carica pian piano di toni ribollenti, rituali, sfumando nella seconda metà grazie ad uno scarto languido che conduce all’improvvisa esplosione furente ma dotata di una sua solennità. Il finale, nuovamente sfumato, ripropone l’arpeggio iniziale per poi cedere spazio a “Mountain Song”. I ritmi si fanno blandi, contemplativi, e fungono da base ideale per le melodie rilassate, crepuscolari che la punteggiano. Lo stacco improvviso a metà del pezzo porta in dote un certo dinamismo prima di una nuova iniezione crepuscolare che accompagna alla conclusione dell’album, affidata alla title track. “Wrapped in Mist” si apre su melodie sognanti, riverberate, inframmezzate da arpeggi campestri in cui si insinua una vena inquieta. Anche qui, a metà del pezzo si assiste a un improvviso indurimento dei suoni, che dopo l’enfasi iniziale si abbandona di nuovo a una melodia sognante, rilassata, accarezzata dai violini barocchi che chiudono l’album.

Wrapped in Mist” è un debutto ammaliante, solidissimo ed eclettico che dimostra padronanza dei propri mezzi, un ottimo gusto musicale e il giusto feeling. Un ascolto consigliatissimo.

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