Recensione: Wrapped in Their Blood
Sulle ali di tematiche in puro Texas-horror, forse le migliori nello specifico argomento, anche i Texas Murder Crew giungono a stampare il proprio debut-album, intitolato non a caso “Wrapped in Their Blood”.
Per coniugare le parole alla musica, quale migliore stile dello slam death metal? Un genere fatto di violentissime accelerazioni inframmezzate da brusche frenate, come se l’elemento fondante sia quello di prendere a schiaffoni la gente. Schiaffi pesanti tonnellate, che scarnificano il viso sino a che non s’intravedono le ossa. Ossa, sangue, sadismo, terrore, morte.
Se si vuol dirla tutta non ci sono poi molti elementi di originalità sia nei testi, sia in un genere che non è nato certo adesso. La questione è stata trattata da altre realtà del metal super-estremo, tuttavia il fatto che i Nostri provengano da Dallas dona uno spessore emotivo notevole, raramente rinvenibile altrove. Un sentore diverso, un odore più penetrante, Come se, detto in termini calcistici, si giocasse in casa.
Non a caso “Wrapped in Their Blood” comincia con un incipit che non solo è la title-track ma, soprattutto, è l’antipasto che spiana la strada alla macellazione totale.
Come da enciclopedia metallica, Mike OB e Brent Wells conducono la folla corsa del gruppo con un roco, stentoreo growling, inframmezzato da continui inserimenti in inhale, dal memorabile suono suinico se non cinghialico. Essendo in due, riescono a creare linee vocali meno monotone del solito, anzi abbellendole (sic!) da sovrapposizioni, fulminei inserimenti, cambi di tono e così via. Anche l’idea di mandare sul campo di battaglia due vocalist non è certo una novità, ma i Texas Murder Crew concepiscono il cantato ritmato rammentando il rap, risultando per questo freschi ed efficaci nell’affondare le mascelle nei muscoli più succosi.
Pure Skyler Turner, con il suo sintetizzatore e i suoi campionamenti, aiuta a rendere nitida la volontà di realizzare un disco che sarebbe l’ideale compagno di un truculento splatter. Il che non sarebbe tuttavia possibile poiché gli altri tre folli componenti della band macinano al massimo delle possibilità umane il loro death metal, trasformandolo in un’arma letale che non potrebbe mai essere alla portata del vulgo.
I riff sono spettacolari nella loro complessità non tanto per la sequenza di accordi quanto per la rapidità con la quale essi vengono sparati a destra e manca, tipo in ‘Apocalyptic Embludgeonment’. L’unione del riffing con il drumming devastante di Cody Hammer è di qualità eccelsa, tant’è che, assieme, formano un unico corpo contundente di rara compattezza e pesantezza.
I brani sono costruiti secondo un unico filo conduttore, e già al primo tentativo la formazione statunitense dimostra di aver trovato l’emblema del proprio marchio di fabbrica. Nulla di trascendentale, certo, ma la rilevante bravura esecutiva dei vari attori è un dato di fatto che non si può e non si deve trascurare. Facilmente rilevabile grazie a un sound pulitissimo che, nonostante la montagna di note che si susseguono senza tregua, lascia sempre intendere con facilità ciò che il sestetto sta combinando con ugole, strumenti ed elettronica.
“Wrapped in Their Blood” è a suo modo un lavoro definibile ideale a descrivere un sound davvero estremo e molto particolare, ma è anche un’opera fruibile solo dagli appassionati del filone slamming. Troppo esagerati, troppo assassini, troppo mostruosi per essere digeriti da tutti.
Molto bravi, comunque.
Daniele “dani66” D’Adamo