Recensione: XI – The Days Before Tomorrow

Di Roberto Ponte - 22 Marzo 2012 - 0:00
XI – The Days Before Tomorrow
Band: Lillian Axe
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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80

Nella folta scena hair metal americana di fine anni ’80, tante band, pur non avendo niente da invidiare a nomi più blasonati del genere, per una serie di circostanze negative, non riuscirono a imporsi al grande pubblico, oppure riuscirono ad avere solo un breve e momentaneo successo per poi scomparire o finire relegate nell’underground.
Se la strada verso la popolarità per pochi gruppi hair fu abbastanza immediata, la “boulevard of broken dreams” di nuove promesse mai arrivate a completa realizzazione è ricca di nomi e tra questi, i Lillian Axe.

Nati nel 1983 a New Orleans, Louisiana, vennero scritturati dalla MCA per la quale realizzarono due album a fine anni ’80: “Lillian Axe” e “Love+War” ma, abbandonati dall’etichetta poco prima dell’esplosione grunge, non riuscirono più ad emergere e ad imporsi a un largo pubblico, rimanendo un gruppo seguito da appassionati del genere, soprattutto negli States.
Nel corso degli anni, a partire dal quarto lavoro “Psychoschizophrenia”, la band ha maturato un’evoluzione stilistica che man mano l’ha allontanata dallo sgargiante hard rock degli esordi, verso lidi più moderni e aperti a sperimentazioni.
“XI – The Days Before Tomorrow”, undicesimo album e primo sotto l’egida della casa discografica tedesca AFM Records, arriva a due anni dal precedente “Deep Red Shadows” e rappresenta un’ulteriore svolta stilistica per la polimorfica band capitanata dal chitarrista Steve Blaze, unico membro superstite della formazione originaria.
A primo ascolto, infatti, viene da chiedersi se è stato messo il giusto album nel lettore, talmente si avverte il senso di spiazzamento, in quanto il sound è ben lontano dal cromato hard rock degli esordi. La nuova creatura di Blaze e soci si orienta verso lidi vicini all’heavy classico, a tratti sinfonico, a volte prog e con pure nette influenze alternative. In questo calderone di stili diversi, la band riesce però a uscirne a vincente, ben districandosi in una proposta interessante che cresce all’orecchio a più ascolti. Un album maturo quindi, che, anche per quanto riguarda i testi, tratta tematiche delicate quali la guerra, le vittime innocenti, lo stato di degrado della società mondiale, per arrivare a un approdo spirituale in un’ottica cristiana.
Autore di tutte la parti strumentali e dei testi è l’indomito Steve Blaze, convinto credente, che per questo nuovo lavoro ha assoldato tra le proprie fila il nuovo cantante Brian Jones, ugola cristallina capace di fornire nuova linfa vitale alla band con un’ottima performance per tutta la durata dell’album.

Il massiccio riff di chitarra in apertura di “Babylon” fa già intuire le intenzioni del gruppo a livello stilistico: l’approccio heavy melodico della canzone viene aperto a influenze a tratti prog, a tratti altenative,  con il testo che tratta della “Babilonia” nel mondo attuale nella speranza di una salvezza futura. La produzione appare buona, ma da un nome noto in campo rock come Sylvia Massy (Tool, Red Hot Chili Peppers, Sevendust, ecc.) c’era da aspettarsi qualcosa di più, i “colori” delle varie tracce del cd potevano essere valorizzati maggiormente.
A seguire “Death Comes Tomorrow”, che è forse il pezzo più classico del lotto: da un intro metal si passa a una parte piano e voce, per poi arrivare ad un crescendo metal sinfonico che potrebbe far ricordare i Savatage.
La successiva “Gather Up The Snow”, appare uno dei pezzi più riusciti dell’album tra riff heavy, partiture prog e aperture melodiche. La prova di Brian Jones è davvero sopra le righe e le linee melodiche appaiono brillanti ed incisive, così la prova di Steve Blaze che in tutta la durata del cd macina una quantità notevole di riff coinvolgenti, parti di chitarra classica e acustica di ottima fattura e soli melodici ben riusciti.

Proprio un dolce arpeggio di chitarra classica apre “The Great Divide” per poi diventare un pezzo in bilico tra heavy, sfumature prog e rock moderno alla Muse, con un lavoro di batteria e di chitarre sugli scudi. Per realizzare questo album ci sono voluti sette mesi di lavoro e il risultato è che tutto è pensato nel dettaglio, con nulla fuori posto o trascurato.
Ecco quindi “Take The Bullet”, primo singolo del disco, pezzo con netti richiami progressive metal, che, nella sua voluta caoticità di serrati riff e di parti ritmiche, tratta dell’assurdità di ogni guerra. La riuscita ballata “Bow Your Head”, unico pezzo del disco che potrebbe richiamare alla mente i primi lavori della band, prende in esame una storia veramente accaduta, la storia del bimbo Tripp Roth, morto a neanche tre anni di vita per una rara malattia della pelle.  
Si prosegue con “Caged In”, la traccia più lontana a livello di stile da tutte le altre, dalla netta influenza punk e alternative. Non può che sorgere a questo punto un legittimo dubbio: quale audience potrebbe essere davvero interessata a un prodotto dall’approccio stilistico evidentemente allargato a così tanti generi diversificati?
Arriva “Soul Disease” – tra heavy, parti alla Muse e stacchi prog che scorre senza particolari emozioni – per giungere a “Lava On My Tongue”, aperta da un coinvolgente riff e con reminescenze grunge che rimandano alle sonorità presenti in “Psychoschizophrenia”.

Siamo giunti a conclusione, e i Lillian Axe si accomiatano con la ballata “My Apologies”, pezzo in cui emerge il background classicheggiante di Steve. Il testo chiude in maniera positiva l’album, trattando di una possibile rinascita partendo dal cuore del singolo individuo per rendere possibile un vero rinnovamento del mondo nel quale viviamo.

Infine due parole sulla traccia nascosta “You Belong To Me” e sulla bonus track europea “Angels Among Us”. La prima è un pezzo molto d’atmosfera dominato dalle tastiere e dalla voce e stacca completamente con quanto detto finora, pur senza essere di gran rilievo vista anche l’evidente ripetitività. “Angels Among Us” è invece un pezzo interamente strumentale diviso in una prima parte ove le chitarre elettriche dominano, seguito da un secondo movimento più lento con chitarre acustiche in evidenza, e concludersi in un tirato crescendo che ancora una volta rallenta definitivamente nel finale.

E’ vero che i puristi del metal, o i fan accaniti della prima ora del sound dei primi Lillian Axe potrebbero forse non digerire questa nuova prova, ma obiettivamente l’album appare convincente nelle sue variegate sfaccettature ed è la riprova di una band che cerca coraggiosamente di reinventarsi di volta in volta. Del passato rimangono ancora le brillanti melodie, seppur trasportate a uno stile diverso, le armonie vocali coinvolgenti e le belle trame ritmiche e soliste di chitarra. L’unica cosa che si potrebbe dire mancante in “XI – The Days Before Tomorrow” è qualche vero highlight, seppure il disco tenda a mantenersi sempre ad alti livelli compositivi.

Per il momento quindi, non rimane che constatare l’ottima forma di una band che pur con più di 20 anni di carriera alle spalle, sembra avere ancora tanto da poter dire.

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Tracklist:

01. Babylon
02. Death Comes Tomorrow
03. Gather Up The Snow
04. The Great Divide
05. Take The Bullet
06. Bow Your Head
07. Caged In
08. Soul Disease
09. Lava On My Tongue
10. My Apologies
11. You Belong To Me (hidden track)

Line-Up:

Brian Jones: Voce
Steve Blaze:  Chitarra/ Tastiere
Sam Poitevent: Chitarra
Eric Morris: Basso
Ken Koudelka: Batteria

 

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