Recensione: Yesterwynde

Di Paolo Fagioli D'Antona - 22 Settembre 2024 - 18:05
Yesterwynde
Band: Nightwish
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Symphonic 
Anno: 2024
Nazione:
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80

Yesterwynde, nuovo parto di casa Nightwish, sarà un disco divisivo, non solo per l’assenza pesantissima di Marco Hietala, vocalist, bassista e presenza scenica di indiscussa importanza (che ricordiamo ha lasciato la band nel 2021 sostituito da Jukka Koskinen), ma anche per tutte le vicissitudini legate al gruppo che si sono sviluppate in questi ultimi anni, come la scelta di non andare in tour per un tempo indeterminato, senza contare l’elemento più importante, ossia la musica e il sound di questo nuovo platter.

Esso infatti ci regala una band non contenta di rimanere adagiata sugli allori, ma bensì pronta a rischiare e oltrepassare i propri limiti. Già perché Yesterwynde, oltre che chiudere la trilogia iniziata nel 2015 con Endless Forms Most Beautiful e proseguita nel 2020 con Human:ḷḷ: Nature, mettendo un punto sulle tematiche improntate sull’evoluzionismo, la natura umana e il nostro pianeta, rappresenta un album che a livello di sonorità è un ulteriore evoluzione rispetto al già coraggioso predecessore del 2020. Con Yesterwynde i Nightwish ci offrono quello che senza dubbio è il loro disco più ambizioso, ricercato, complesso e ricco della loro carriera. Un viaggio sonoro da settantuno minuti che va assaporato tutto d’un fiato in quanto crediamo che le canzoni prese singolarmente non rendano come quando inserite nel contesto del platter preso come “lavoro unico”. Yesterwynde è un disco che proprio per questa sua natura necessita di svariati ascolti per poter riuscire ad esplorare tutti i propri infiniti dettagli, e non stiamo parlando solo a livello sonoro, ma anche dal punto di vista concettuale e visivo, se pensiamo al numero incredibile di “easter eggs” disseminati un po’ ovunque all’interno dell’album, a partire dalla meravigliosa copertina.

Ma partiamo proprio dal titolo Yesterwynde, un vocabolo inventato la cui parte finale deriva dallo scozzese “wynd” (via, viale), che in questo caso è scritto senza la “e” finale. Quindi Yesterwynde rappresenta una sorta di “via dello ieri”, con una forte somiglianza anche alla parola “Yesterwind” ossia il “vento dello ieri”. C’è anche da notare come il verbo “to wind” in inglese significa “avvolgere” dando un ulteriore significato alla parola “Yesterwind”, riferendosi in questo caso “all’avvolgimento” o “all’avvolgersi” dello ieri (questo come per riferirsi all’intrecciarsi del tempo- è da notare anche che in quest’ultimo caso “Yesterwynde” e “Yesterwind” sono anche pronunciati allo stesso modo, donando un’ulteriore assonanza alle due parole).  Tutti questi riferimenti sono perfettamente rappresentati nella copertina, dove vi è proprio un veliero trasportato dal vento che viaggia in un percorso (o viale) a forma di spirale (per tornare al concetto di avvolgimento), contraddistinto da dei numeri quasi come fosse una sorta di “orologio della vita”, riassumendo perfettamente tutti questi concetti. In poche parole un titolo che, come confermato da Troy Donockley, ha molteplici interpretazioni e richiama diversi concetti, potendo essere visto sotto diversi punti di vista a seconda delle singole persone e di come esse “inquadrano” la parola in sé. La copertina stessa ha dei rimandi ad alcune canzoni del platter, come la lanterna (riferito al pezzo Lanternlight), o anche gli ingranaggi (riferiti a The Antikythera Mechanism), e riassume principalmente quelli che sono i concetti alla base del platter, come spiegato dallo stesso maestro Holopainen: il tempo, i ricordi, la nostra mortalità ma soprattutto noi esseri umani come centro pulsante di questa sorta di concept.

Yesterwynde è  un disco riflessivo, malinconico, intellettualmente impegnato, estremamente intelligente nelle sue disamine, ma soprattutto un disco che musicalmente è stato un parto lungo e laborioso per lo stesso Holopainen che ha scritto le demo delle tracce nell’arco di più di un anno prima di presentarle ai suoi compagni di avventura. Un lavoro questo che sposa l’anima sinfonica tipica della band, sorretta come di consueto, dal supporto di una vera e propria orchestra le cui parti sono state registrate nei celeberrimi Abbey Studios di Londra (stavolta però senza la direzione del fido Pip Williams). Non bisogna dimenticarsi poi delle sezioni folk (ingrediente sempre più presente nella musica dei Nightwish specialmente dai tempi dell’ingresso di Troy Donockley nella band), le atmosfere mistiche e avventurose, i riff granitici di Emppu (pochi ma buoni) e la classe cristallina di Floor Jansen alla voce, regina indiscussa quando si parla di frontwomen nell’ambito metal.

Entriamo ora nel vivo del disco, per la precisazione con la title-track che funge da breve introduzione al platter. Essa ci accoglie con il “click” di un proiettore che per quanto ci riguarda si addice perfettamente al vibe malinconico e nostalgico della canzone che parte con una sezione dai toni ecclesiastici, quasi liturgici, dei delicati arpeggi e alcuni passaggi vocali soavi e delicati. Floor sussurra “see me, see you, on an island of a shipless crew”. Questa frase è perfetta  per farci avventurare nell’epopea cinematica rappresentata dalla successiva traccia Oceans Of Strange Islands, un pezzo che incarna perfettamente ciò che il fan medio potrebbe aspettarsi dai Nightwish in nove minuti e mezzo di musica. A livello tematico il pezzo narra di un marinaio perso in un oceano costellato da isole ed avvenimenti apparentemente sovrannaturali. Sembra quasi di stare nel bel mezzo della serie tv Lost, ma la verità è che il viaggio solitario del marinaio rappresenta solo una metafora della sua vita e le “strane isole” sono le persone, le amicizie, le relazioni, che egli stesso ha visto sgretolarsi durante la sua esistenza terrena. C’è anche un desiderio di connessione e di quel voler far parte di una storia più grande di se stessi che tanto fa pensare proprio ai temi legati all’evoluzione della specie presenti  nei tre album della trilogia. Molto belle le linee di chitarra melodiche di Emppu, ma anche i suoi riff pesanti e abrasivi, che in una particolare sezione del brano, ci hanno ricordato quelli presenti in Tribal dal precedente platter. Floor svetta come una sirena nel magnifico ritornello anche se, ad essere onesti, la sua voce è un pochino seppellita nel mix. Questo a detta di Troy Donockley si è rivelata come una scelta intenzionale e voluta, dato che, sempre secondo Troy, l’obbiettivo in questi momenti più pomposi delle composizioni era quello che ogni strumento si dovesse sentire in maniera chiara, e che nulla dei dettagli dei brani venissero quindi persi da una voce che avrebbe potuto sovrastare tutto. Questo problema è nuovamente presente in Perfume Of The Timeless e si è rivelato un qualcosa che inizialmente ci ha spiazzati, ma che con i ripetuti ascolti e l’abitudine, abbiamo notato molto di meno fino a non recarci più alcun fastidio. C’è anche da puntualizzare come in altri momenti dell’album, quando evidentemente la band lo voleva, la voce di Floor svetta forte e chiara e dunque è bene precisare come questo “difetto” (se vogliamo definirlo così), non perduri per tutto il disco.

The Anthikitera Mechanism si riferisce alla Macchina di Anticitera, la versione più antica di un prototipo di computer analogico usato per prevedere eclissi e molto altro nel panorama astronomico e sviluppata tra il 150 e il 100 a.C.  Come al solito il buon Holopainen ci mostra tutta la sua fascinazione e ammirazione per l’ingegno umano, come già successo in precedenti brani dei Nightwish che trattavano topic simili. Musicalmente il pezzo ha un’atmosfera decisamente più cupa e distopica senza sacrificare la pesantezza che viene fuori soprattutto nel ritornello. Molto interessante il cambio di tempo verso la fine del brano che suona decisamente “meccanico” e perfettamente in linea con il testo della canzone.

The Day Of… prosegue con i vibe distopici, sorretta da synth e atmosfere futuristiche. Ci sono riferimenti nel testo al romanzo La Guerra dei Mondi di H.G Wells e a 1984 di George Orwell, per un brano che parla del controllo della mente umana attraverso la paura, con un indice puntato verso la classe politica. Senz’altro d’effetto i cori dei bambini, che aggiungono un che di spettrale al brano che viene a sua volta arricchito da una sezione strumentale niente male. Un pezzo insomma, che ci ha convinto decisamente di più nel contesto del disco che come singolo a sé stante.

Perfume Of The Timeless torna a parlare di temi legati all’evoluzione con quell’iconica frase “we are the results of a million loves”, indicando quanto la nostra esistenza sulla terra sia poco probabile, qualcosa di miracoloso considerando i miliardi di anni di evoluzione e i milioni di antenati che ci hanno preceduti. Difatti, una sola interruzione in questa catena e noi non saremmo qui. Insomma il privilegio della vita gioca su probabilità estremamente ristrette ed è per questo che ne dobbiamo essere grati. Perfume of The Timeless è un altro brano in pieno stile Nightwish, elaborato, ricco, pomposo e con un ritornello trascinante, senza dimenticarsi di quella sezione molto heavy da parte del buon Emppu che è una ventata d’aria fresca in questo disco che a tratti manca di un pochino di “spinta” e di robustezza. Molto bella anche la sezione arpeggiata sul finale con la delicata voce di Troy che riprende la melodia del ritornello.

Sway offre un netto cambiamento alla struttura dei brani e al tipo di composizioni che fino ad ora sono rimaste abbastanza fedeli al classico stile Nightwish ma che da qui in poi diventeranno ancora più variegate, ricercate e sperimentali. Il suddetto brano è quasi una composizione in stile Auri (il progetto parallelo di Troy, Tuomas e Johanna Kurkela), delicata, soffice, d’atmosfera e dove la componente folk prende le redini della musica con una magnifica prova vocale di Floor e Troy. Molto bella anche la sezione percussiva dallo stile quasi tribale di Kai Hahto che in questo album risulta davvero creativo con il suo drumming. A quanto  pare infatti, egli stesso sembrerebbe essere stato spinto al limite dallo stesso Holopainen, che, per il drummer della band, aveva programmato sotto forma di demo delle parti davvero difficili da eseguire (questo a detta dello stesso Kai).

The Children Of ‘Ata è un altro brano splendido e particolare con i suoi cori in lingua tongolese e le sue sezioni dal vibe più elettronico e up-tempo. Il pezzo narra della storia di quindici ragazzini persi in un’isola tongolese nel 1965 che sono miracolosamente riusciti a sopravvivere nonostante le difficoltà. Un altro brano che si ricollega a tutte le potenzialità e le caratteristiche positive dell’animo umano. Se in Human:ḷḷ: Nature si erano toccati temi legati all’empatia, in brani come How’s The Heart e all’immaginazione in Pan, ecco che qui si parla di determinazione, resilienza e quell’indole che contraddistingue noi esseri umani (e non solo), nel provare a sopravvivere nonostante le avversità. The Children Of Ata  è un brano meraviglioso, una delle punte di diamante di questo disco, anche grazie ad una prestazione estremamente sentita di Floor Jansen.

Something Whispered Follow Me come suggerisce il titolo, è un pezzo spettrale ed enigmatico ma che allo stesso tempo sa essere caldo e avvolgente con delle aperture melodiche da brivido. Ci sono dei vocalizzi di Floor e degli effetti sonori che davvero sembrano immergerci nel bel mezzo di un film di Tim Burton in una specie di versione “Nightwishizzata” di una colonna sonora di Danny Elfman (tanto per rimanere in tema). Chapeau.

Spider Silk ancora una volta ci intrappola nella sua meravigliosa tela sonora, con una Floor Jansen che stavolta spinge parecchio a livello vocale per un altro brano che non si discosta come atmosfere dalla precedente traccia ma ci regala nel complesso un pezzo più heavy. Molto bella la sezione in cui Floor recita in maniera ossessiva “spin the web-spin the web-spin the web”, in una sorta di via di mezzo tra una filastrocca a tinte dark e un incantesimo, dove appare ancora una volta il fido Troy a riprendere in una tonalità più bassa il ritornello del brano.

Si prosegue con Hiraeth un pezzo il cui titolo rappresenta una parola derivata dal gallese che tocca il concetto di malinconia, dei ricordi e di quel desiderio di ritornare indietro e guardare al passato. Il pezzo vive di un inizio crepuscolare e malinconico in cui Floor e Troy sono ancora una volta protagonisti. Meravigliosa la sezione finale in pieno stile folk metal quasi fosse un pezzo degli Eluveitie (in sottofondo sembra ad occhio di sentire una ghironda, altro rimando al gruppo svizzero). Applausi.

Un sospiro di Floor ci introduce al penultimo pezzo The Weave che tesse per noi un brano di stampo quasi progressive, con delle soluzioni sonore carnevalesche ma allo stesso tempo inquietanti che ci ricordano tanto le atmosfere di Imaginaerum, specialmente di quelle di un brano come Scaretale. Forse il “reprise” del pezzo sul finale è francamente un pochino eccessivo ed a tratti si evince la ripetitività di alcuni riff di chitarra, ma va detto che Empuu non è mai stato e mai sarà un chitarrista particolarmente eclettico.

Dopo tutta questa complessità tocca al brano Lanternlight chiudere il disco in maniera totalmente diversa con una ballad sorretta dal pianoforte, la voce di Floor (a cui si aggiunge per un momento anche quella di Troy) e delle orchestrazioni minimali, per un pezzo che emotivamente non ci ha preso come le grandi ballad dei Nightwish come Ever Dream, Sleeping Sun, The Isalnder o anche la più recente e magnifica Harvest.

In conclusione Yesterwynde  si rivela essere il disco più elaborato e ambizioso della carriera dei Nightwish. Un’intensa avventura sonora curata nei minimi dettagli e che offre tanto all’ascoltatore non solo a livello di sound ma anche dal punto di vista delle liriche e della parte visiva. Una chiusura di trilogia di grande spessore per un disco complesso, raffinato, ricercato e senza dubbio per palati fini. Un album questo che va ascoltato e riascoltato per scoprire tutte le meraviglie che giacciono al suo interno, ma che è allo stesso tempo, si rivela ormai essere lontanissimo dalle sonorità più accessibili di album come Wishmaster o Century Child. C’è molto mestiere in Yesterwynde e in questo disco si sente anche tutta l’evoluzione e la maturazione come musicista e compositore da parte di Tuomas Holopainen, che magari non sarà più in grado di avere quel guizzo geniale che ha portato a scrivere in passato capolavori come Ghost Love Score o The Poet And The Pendulum, ma che ha avuto il merito in questi anni di aver dato un’altra dimensione alla sua band, che continua ad essere una stella incredibilmente brillante nel panorama musicale odierno.

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