Recensione: You Die and I

Di Alessandro Calvi - 26 Febbraio 2010 - 0:00
You Die and I
Band: Bejelit
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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72

A tre anni da “Age of Wars”, tornano a farsi sentire i Bejelit. Nel frattempo la band ha dovuto affrontare alcuni problemi, non ultimo la mancanza di un contratto. Inoltre il cantante Tiberio ha lasciato il gruppo dopo un solo disco e i Bejelit hanno scelto, invece di cambiare ulteriormente voce dietro al microfono, di tornare a Fabio Privitera, il vocalist degli albori. Questo ha, però, portato notizie positive e negative. Le prime son state, ovviamente, il ritrovarsi tra vecchi amici e il ricrearsi di quel feeling che aveva fatto “scrivere da sole” le vecchie canzoni. Le seconde il fatto che Fabio ormai vive a Roma, ben distante dai lidi aronesi in cui ancora vive e registra il resto della band.
Nonostante le difficoltà, quindi, i Bejelit son riusciti a rimettersi in corsa e con umiltà, come una band alle prime armi, hanno spedito un primo demo di quattro pezzi alle etichette sperando in un contratto. La risposta è arrivata dalla Punishment 18 Records, che ha deciso di pubblicare questo “You Die and I”.

Il titolo del nuovo album si basa su di un evidente gioco di parole il cui significato ha più di un collegamento col tema portante delle dieci tracce che compongono il disco. Per la prima volta i Bejelit, infatti, si distaccano completamente dal manga “Berserk” di Kentaro Miura, anche se, come vedremo, l’immaginario fumettistico giapponese non è stato dimenticato.
Tutto il cd ruota attorno alla morte. Tema portante di ogni canzone, anche se visto, analizzato e interiorizzato in maniera diversa.
Si comincia con “Rostov”, canzone che avevamo già avuto modo di ascoltare in anteprima l’agosto scorso e basata, a livello di liriche, sul celebre Andrej Chikatilo, uno dei più terribili e feroci serial-killer che la storia ricordi. Sotto il profilo musicale si tratta di un pezzo che prosegue la tradizione di canzoni come “Bloodsign”, un vero e proprio pugno in faccia all’ascoltatore con il cantato di Fabio che si fa progressivamente sporco fino a sfiorare il growl. Si segnala l’apertura dolcissima, ma anche sottilmente inquientante e degna di un horror alla Dario Argento, demandata a un carrior che suona una ninna nanna.
Si prosegue con l’apertura elettronica di “She’s Lying 6ft Under”, che, per fortuna, viene subito soppiantata da chitarre, basso e batteria. Il pezzo è subito molto coinvolgente e ritmato, indubbiamente uno di quei brani che dal vivo rischiano di spopolare tra i fan e di imporsi in fretta come un cavallo di battaglia. Per presentarla adeguatamente torna un “tormentone” che aveva caratterizzato la band ai suoi esordi, cioè il paragone con gli Iced Earth (in questo caso soprattutto per certi stacchi, parte del songwriting e i passaggi di voci sovrapposte), band che, però, i Bejelit non hanno mai ascoltato. Nulla di particolarmente innovativo per la band, ma di certo una delle canzoni più convincenti del lotto e che si fa ascoltare più a lungo senza stancare.
Qualcosa di nuovo di può sentire, invece, con “Saint from Beyond”, traccia che apre con alcuni suoni filtrati e campionati per poi far emergere gli strumenti. Si tratta, probabilmente, della canzone più sperimentale realizzata finora dai Bejelit che, in questo caso, si cimentano con alcune soluzioni prog, in alcuni passaggi ispirati dai Dream Theater, così come in momenti che potremmo quasi definire doom per l’incedere, senza dimenticare l’uso particolare della voce in alcuni frangenti.
Un disco non può avere solo hit e l’ingrato compito di fare la parte del brano “normale” tocca a “Your Personal Hell”, subito seguito da “Astaroth”. L’apertura è quasi black per le chitarre e la voce di Fabio che si spinge ai limiti del growl, scelta giustificata visto che il testo presenterebbe il punto di vista del diavolo su paradiso e inferno. Il risultato è un pezzo che alterna momenti più ritmati e con una voce aggressiva ad altri molto lenti e dolci, con la voce pulitissima. Rimane un pochino di amaro in bocca per il ritornello e la ripetizione forse troppo ossessiva di quel “looking for the never” che, ad avviso di chi scrive, dopo un po’ risulta un po’ stucchevole.
Tutto il debito che i Bejelit possono avere nei confronti delle scene heavy classica ed hard rock sembra emergere in una volta sola con “2K12 Nails”, una canzone melodica, orecchiabile, sicuramente valida ma che in questo album (che presenta dei Bejelit più oscuri che in passato) sembra, sinceramente, un po’ fuori contesto.
“Death-Row” è la traccia più classicamente power del cd. Così power, così melodica, da non sembrare a tratti una canzone dei Bejelit. Si sente molto l’influenza del power più melodico e più tastieristico e, qui e là, anche quella dei Blind Guardian. Nuovamente tocca constatare che non si tratta di niente di nuovo nè per il genere nè per il gruppo. Non completamente nuova è anche la successiva “Goodnight My Shade”, ma in questo caso i Bejelit son più che giustificati visto che la potremmo quasi definire la nuova “I Won’t Die Every Day”: una ballata dolce, malinconica, magnetica che sa tirare fuori la grinta al momento giusto risultando uno dei pezzi più efficaci in scaletta.
Per gli amanti dei manga rimasti orfani dall’abbandono di Berserk viene in soccorso “Shinigami” ispirata agli omonimi dei della morte del fumetto “Death Note” di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata. Nessun riferimento alle melodie dell’anime che ne è stato tratto, ma un pezzo che è una cavalcata veloce e potente attraverso le pagine del quaderno della morte e una riflessione sul fatto se sia giusto o meno uccidere per avere un mondo migliore.
A chiudere “Orfeo 10”, canzone che inizia molto lenta con la sola voce di Fabio, senza accompagnamento, che poco a poco sale di tono fino all’ingresso degli strumenti. L’impostazione è magniloquente, più improntata a toni epici rispetto alle precedenti e dalla forte vena power con un importante apporto da parte delle tastiere.

La produzione è “fatta in casa”, nel senso che i Bejelit hanno prodotto, registrato e mixato l’album per conto proprio negli Old Ones Studios di proprietà di Sandro e Giulio Capone. Solo in un secondo tempo il disco, ormai completato, è stato passato alla casa discografica per la distribuzione. Questo ha permesso al gruppo di poter gestire in autonomia i tempi di realizzazione e la qualità del lavoro che, pur non essendo stato svolto in un grande studio del nord Europa, risulta comunque molto convincente. Sotto il profilo del songwriting, così come nel precedente “Age of Wars” risultava evidente che alcune canzoni erano state scritte per Fabio e poi fatte cantare a Tiberio, con quindi qualche elemento che non suonava del tutto convincente, qui in alcuni casi avviene il contrario. Certi brani hanno linee melodiche che appaiono forse più in sintonia con quelle che erano le caratteristiche di Tiberio e, pur non sfigurando, suonano un po’ strani se eseguiti da Fabio, oltre che leggermente fuori tono come melodia rispetto al resto dell’album che si attesta su un’attitudine decisamente più dark e aggressiva.

Per concludere i Bejelit son tornati e son tornati alle origini. Il ritorno di Fabio ha permesso il ricrearsi dell’alchimia degli inizi e questo ha sicuramente dato una marcia in più in sede di songwriting visto che i musicisti son tornati a comporre come son sempre stati abituati. Inoltre questo “You Die and I” presenta una band che vuole anche cambiare e innovarsi, evidenze ne sono in primo luogo il mood più oscuro di molti brani e la ricerca di alcune novità in sede di songwriting, in secondo luogo l’essersi distaccati dall’immagine di “cover band di Berserk” scegliendo di realizzare una serie di canzoni dal tema più mainstream. Nonostante qualche calo lungo la tracklist, la qualità c’è e c’è sempre stata e questo conferma i Bejelit come una delle band italiane più interessanti in questo segmento di mercato.

Tracklist:
01 Rostov
02 She’s Lying 6ft Under
03 Saint from Beyond
04 Your Personal Hell
05 Astaroth
06 2K12 Nails
07 Death Row
08 Goodnight My Shade
09 Shinigami
10 Orfeo 10

Alex “Engash-Krul” Calvi

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