Recensione: You Won’t Go Before You’re Supposed To
L’hardcore sta vivendo negli ultimissimi anni un periodo di “nuova giovinezza” grazie a band quali Code Orange e Knocked Loose che hanno fatto loro le basi del genere, aggiungendo un tocco unico e personale al proprio sound, permettendo così di distinguere la loro proposta dalla pletora di band del suddetto filone musicale e tirando fuori una serie di dischi amati da critica e pubblico. I Knocked Loose in particolare si sono trovati davanti al difficile compito di bissare il successo del loro ultimo disco del 2019 A Different Shade Of Blue e del loro ultimo EP risalente al 2021 A Tear In The Fabric Of Life. La posta in palio era alta ma la band di Oldham Country non ha deluso le aspettative rilasciando uno dei dischi più compatti e abrasivi dell’anno, riuscendo addirittura a migliorare quanto fatto nei precedenti platter, sia dal punto di vista della produzione che da quello della composizione, avvalendosi oltretutto di alcuni guest che hanno rappresentato la ciliegina sulla torta di un disco che già dai primi singoli rilasciati aveva fatto salire l’hype a buona parte dei fan della band e non solo.
You Won’t Go Before You’re Supposed To è un disco che non delude e anzi migliora tutto ciò che la band ha mostrato di saper fare con estrema maestria nei precedenti lavori regalandoci una bordata sonora pesantissima da poco più di ventisette minuti che nonostante la breve durata lascia l’ascoltatore appagato ma mai sopraffatto in senso negativo. L’incredibile maestria di Drew Fulk (WZRD BLD), produttore di nota fama, conosciuto per il suo lavoro anche nell’ambito dell’hip-hop e nominato ai Grammy, ci regala una delle produzioni dell’anno dove le chitarre suonano abrasive e corpose, gli strumenti perfettamente bilanciati e le parti più elettroniche, industrial e sinistre assolutamente claustrofobiche. Già, perché le sfuriate hardcore della band capitanata da Bryan Garris sono spesso condite da quelle atmosfere cupe, malsane e sinistre coadiuvate da alcune sezioni vicine all’industrial che ricreano ciò che i già menzionati Code Orange hanno saputo partorire in dischi strepitosi come Forever e Underneath. Ci sono pezzi davvero corti e abrasivi con breakdown devastanti, ma soprattutto composizioni che si legano l’una con l’altra per ricreare l’idea di un’unica esperienza sonora da vivere tutta d’un fiato e anche quando la band non va a rotta di collo e rallenta, i riff carichi di groove e viscerali coadiuvati dallo screaming forsennato di Garris travolgono l’ascoltatore che rimane inerme difronte a tale pesantezza (pensiamo ad alcune sezioni di Don’t Reach For Me). Il brano Suffocate che vede la presenza di Poppy in sede di special guest, aggiunge quel “feel” sinistro ma in qualche modo affascinante quando è lei stessa a subentrare nel ruolo di lead vocalist per uno dei brani meglio riusciti del platter. L’altro special guest di questo album è Chris Motionless dei Motionless In White che appare nella devastante Slaughterhouse 2 (la parte uno era presente in un disco dei Motionless In White e vedeva Bryan Garris come guest, uno “switch” interessante!) che seppur non offre quel fattore in più regalato dal contributo di Poppy in Suffocate, si fa comunque protagonista di una prestazione vocale convincente mentre la band ci sotterra con dei blast-beat infernali ed un breakdown devastante verso la fine del pezzo con un Bryan Garris che urla “break down the wall! break down the wall!”. Ancora violenza a rotta di collo per i quarantasei secondi di Moss Covers All, mentre Take Me Home è un brano che mi ricorda molto il “vibe” sinistro dell’omonimo album degli Slipknot, in particolare di composizioni come Tattered & Torn e Scissors. C’è difatti da menzionare come, se la pesantezza non è sempre presente nella musica dei Knocked Loose sotto forma di chitarroni schiaccianti, quello stesso senso di “pesantezza” ce lo offrono le atmosfere dell’album, assolutamente claustrofobiche e opprimenti, quasi un viaggio nei meandri di un film horror in stile Non Aprite Quella Porta. Blinding Faith è un’altra assoluta hightlight di questo album, per un pezzo che riassume alcune delle tematiche del disco legate alla religione, mentre Sit & Mourn è una closer che ci lascia una sensazione di malinconia, un’emotività che difficilmente è riuscita a trapelare in altri frangenti di questo disco, senza che venga compromessa la pesantezza di alcune sezioni del brano, rese interessantissime da un drumming sempre creativo che spazia da sezioni in blast-beat ad altre assolutamente creative.
In conclusione con quest’ultimo platter i Knocked Loose hanno tirato fuori un vero punto di riferimento non solo per la scena hardcore ma anche per tutta la musica estrema di questo periodo storico. Una perfetta sintesi di brutalità viscerale, atmosfera, tecnica, innovazione e songwriting, il tutto reso ancora più splendente da una produzione a dir poco perfetta. Album che per quanto mi riguarda si candida tranquillamente ad entrare nell’élite del meglio delle uscite musicali di questo 2024.