Recensione: Your Wandering Ghost
Solitamente le attese lunghe sono quelle che portano alle cose migliori. Sulla base di tale ragionamento effettivamente si potrebbe pensare che gli Ethersens siano una band portata a ponderare in maniera approfondita, a cesellare ogni dettaglio con cura infinita prima di porgere un disco. Fondato nel 2002 infatti, il sestetto francese ha prodotto il suo primo, discreto album, nel 2008, se anni dopo. Ed altri sei anni ci sono voluti per arrivare al secondo disco, Your Wandering Ghost, di cui oggi per l’appunto andiamo ad occuparci.
Copertina di buon effetto e bei colori che può lasciar intendere tutto o niente. Si direbbe infatti, dall’ottimo lavoro grafico, dal contrasto di blu ed arancione graffiati, che i nostri si dedichino a un death di ultima generazione, magari pure djentato, oppure ad un progressive metal alternativo, anch’esso venato di postmodernità.
Alla prova tuttavia, entrambe le supposizioni sembrano sbagliate. La prima più di tutto, non c’è un growl in tutto il disco. Il prog invece sembra starci meglio, fatto sta che la proposta degli Ethersens prevarica ogni sottoschema metallico precostituito, questo va detto. Quello che i transalpini ci offrono è infatti un disco di chitarre decisamente pesanti, per composizioni che mantengono una struttura bene o male evolutiva. Riesce difficile imbrigliare la proposta, l’unico nome al momento fattibile parrebbero gli Alter Bridge più lenti e meditativi, sebbene spesso gli Ethersense non disdegnano sfuriate degne degli ultimi novembre. Pure la voce di Laurent Mora, sofferta, si rievoca ad una tradizione americana, Stoner quando non addirittura nu metal. Non mancano episodi degni di nota, dalla opener Two of One Mind fino a Where You and I Part Ways. Buona anche la trucida Reflect fino ad arrivare a Waking disorder, per passare alla monumentale conclusione di To live is to forget.
Fosse uscito dieci anni fa, avremmo gridato al miracolo, nel 2005 gli Ethersens avrebbero potuto essere la nuova frontiera del prog cerebrale. Oggi però la situazione è diversa. I nostri sono certo portatori di una proposta originale, pure è vero che altri hanno tentato di irrigidire il prog mischiandolo al metal core e all’alternative rock. Da ciò si aggiunge il fatto che tutte le composizioni, sebbene tutt’altro che complesse, richiedono uno sforzo decisamente grosso all’ascoltatore. L’omogeneità è un pregio, ma gli Ethersens esagerano, ed abbinano questa mancanza di sussulti ad un disco di settantatré minuti.
Insomma, ancora una volta ci troviamo dinnanzi ad un gruppo che qualcosa da dire pure lo avrebbe, ma ha paura di dirlo, di urlare come si dovrebbe. Manca a questo disco, indubbiamente discreto, la scintilla che faccia gridare, se non al miracolo, almeno alla figata. Manca un qualcosa che faccia decollare l’album, sia essa un ritornello maiale o anche solo un po’ di varietà in più. A ciò dovremmo aggiungere che i nostri non sono esattamente produttivi, e non è dato sapere quando avremmo loro nuove. Consigliato a tutti gli amanti del metal spurio, ma non a molti altri.
Tiziano “Vlkodlak” Marasco
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