Recensione: Zoom Code

Di Riccardo Angelini - 13 Maggio 2008 - 0:00
Zoom Code
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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62

Bisogna riconoscere che è una presentazione di tutto rispetto quella vantata dai portoghesi ThanatoSchizO: quarto full-length in undici anni di carriera, contratto con la nostrana My Kingdom Music, svariati riconoscimenti e attestati di stima da parte della stampa locale e non, collaborazioni di un certo peso con il violinsta Timb Harris (Estradasphere) e l’ex-Dødheimsgard Svein Egil Hatlevik (Zweizz, Fleuerty). Da par suo, uno stile audace ed eclettico abbastanza da mescolare death, doom, progressive, elettronica e folk senza lasciarsi costringere in etichette predefinite parebbe promettere un disco da non perdere.

Non si può affermare che le aspettative caricate da cotanta presentazione finiscano deluse, ma senza dubbio ridimensionate. Un bagaglio tecnico non indifferente consente alla band di destreggiarsi fra numerose soluzioni stilistiche, amalgamate con perizia e buona personalità. L’uso della triplice voce (scream contro pulito maschile e femminile) contribuisce ad ampliare le possibilità interpretative, in favore di brani complessi e fra loro diversificati senza per questo trasformarsi in pastoni indigeribili. Il rovescio della medaglia è una vena compositiva non sempre ispirata e priva di particolari acuti. Se infatti le chitarre – scarsamente supportate da una produzione piuttosto fiacca  – stentano a mantenere l’iniziativa, soltanto lo screaming riesce a graffiare come dovrebbe, mentre il duplice cantato pulito (soprattutto femminile) appare un po’ troppo lineare e privo di profondità. Né le tastiere riescono a ritagliarsi uno spazio decisivo, contentandosi di contribuire in modo collaterale attraverso reiterati cenni elettronici. Per quanto solide possano apparire le basi, insomma, l’edificio che viene innalzato su di esse non sembra raggiungere l’altezza e l’imponenza promesse; come se l’architetto assegnato all’avveniristico progetto avesse infine ammesso di contentarsi – per timore di errare o per limiti creativi – di un eccentrico palazzetto di periferia, piuttosto curioso se osservato dalla distanza ma meno accogliente del previsto per chi lo volesse abitare. A favore della band depongono aperture di pregio come l’elegante solo violino di Timb Harris in “L.” e costruzioni intelligenti quali “Hereafter Path” (impreziosita da estemporanee contaminazioni etniche) o la possente “Nothing As It Seems”, per il sottoscritto miglior pezzo del lotto. Manca tuttavia la capacità di portare avanti con continuità un discorso musicale che sappia essere non solo originale ma anche concreto e intrigante. Vale a dire: manca il tocco di classe proprio dei grandi.

Esperimento riuscito a metà insomma per i TSO, incapace di sfruttare appieno il proprio potenziale e dunque di emergere a livello internazionale. Peccato, le premesse facevano sperare in qualcosa di più. Resta un disco appetibile da parte di quella parte di pubblico più esperta e indulgente verso la novità, prevedibilmente la più propensa ad apprezzare nel dettaglio le composizioni non convenzionali di “Zoom Code”. Con consapevolezza che i maestri abitano altrove.

Riccardo Angelini

Tracklist:
01. Thick ‘n’ Blurry
02. L.
03. Hereafter Path
04. (Un)bearable Certainty
05. Pleasure Pursuit
06. The Shift
07. Last of the Few
08. Pale Blue Perishes
09. Pervasive Healing
10. Nothing as it Seems
11. Awareness

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