Recensione: Ετερόφωτος
Perché ascoltiamo metal? Ognuno di noi, inevitabilmente, risponderà in modo diverso a questa domanda: alcuni potrebbero essere sedotti dalla musica, altri dai virtuosismi tecnici, dalla forza e dalla violenza del suono, il fascino, altri ancora dal contenuto ribelle, che va a demolire le istituzioni spirituali e temporali. Verosimilmente, si tratta di ognuna di queste ragioni, magari con incidenza o combinazioni diverse, ma su un fatto dovremmo convergere tutti: il metal è un fenomeno culturale, più di ogni altro tipo di musica. Per i profani, il metal è un genere, ma noi che lo ascoltiamo, sappiamo che all’interno di questo grande contenitore, ci sono dei movimenti davvero diversi tra di loro, ognuno dei quali con una storia e uno sviluppo e musicalità che talvolta non hanno aspetti comuni, e questo rappresenta un’eccezione nel panorama musicale. Il songwriting è particolarmente raffinato, e spesso vi è un legame intenso tra ciò che si scrive e ciò che si suona: la massima espressione di questo concetto è il concept album, ovvero un’opera in cui ogni singolo pezzo contribuisce a dare un significato nel loro insieme. Ed è il caso degli Spectral Lore, che, con questo lavoro, ci propongono un ‘epopea cosmica piuttosto complessa, che ricalca quella di The Sentinel, ma con maggiore personalità e maturità.
C’è anche un pizzico d’Italia in Ε τ ε ρ ό φ ω τ ο ς. L’artwork è “Genio Abissale”, un’opera del nostro Alessandro Bianchi, in arte Socioldr: un quadro a cavallo tra surrealismo e simbolismo, che propone scene che ricordano la divina commedia di Gustave Dorè, il minimalismo dell’universo, ed un angelo caduto di apocalittica memoria.
Stilisticamente, è un album che ricalca alla perfezione il songwriting: è molto complesso. Innanzitutto, nel sound sono fondamentali il basso e la sezione ritmica: si tratta di un black metal tipicamente ellenico a tinte prog, senza eccedere in questo suo aspetto. Allo stesso tempo è però granitico, il suono è pulito e ogni brano altro non è che un pezzo del puzzle della fine dei tempi, un viaggio che ha radici in questo mondo ma che allo stesso tempo è interconnesso all’Universo.
Ατραπός è stata scelta per aprire e promuovere il disco con un video molto particolare, poiché riproduce letteralmente il contenuto del testo: la Sentinella si desta dal suo sonno di pietra e prende vita. Il brano è violento, selvaggio e adatto a riprodurre la fredda ancestralità dell’universo e di questa nuova epopea; un intermezzo “black prog”, in cui si esalta la sezione ritmica, con pregevoli partiture di chitarra: il tutto è perfettamente amalgamato.
The Golden Armor prosegue sulla falsariga del suo predecessore risultando, però, complessivamente, più compatto; esprime con forza un concetto, attraverso il parallelismo tra “il Guardiano” e la figura di Gesù, ma che potrebbe essere esteso anche alle altre religioni monoteiste: “One must fall to attain true wisdom” – ovvero “bisogna cadere prima di ottenere la vera saggezza”.
Initiation Into The Mystery è un brano forte ed incalzante, di denuncia verso i saggi che intendono condannare il corpo ed i piaceri materiali per esaltare lo spirito. La forza della canzone non è altro che un urlare contro questo assurdo assioma.
E dopo la furente Initiation Into The Mystery, abbiamo la più introspettiva e calma The Sorcerer Above The Clouds: arpeggio e ritmica, e poi assolo. Il passaggio porta l’ascoltatore in una dimensione onirica. Appena ci siamo liberati delle catene della carne e dello spirito, inizia questo viaggio che diventa rabbioso: ci rendiamo conto che ciò che vediamo è diverso da quello che abbiamo percepito fino ad oggi, poiché la nostra dimensione è costruita sulla falsità dei saggi.
L’oscura Apocalypse è una meravigliosa canzone che consacra le abilità di Ayloss come polistrumentista: le sovraincisioni di chitarra sono meravigliose, sullo sfondo di una base ritmica eccellente, che si fonde a meraviglia con le sei corde. Un omaggio alla Rivelazione di San Giovanni, rivisitato in chiave Spectral Lore: la dimensione della fine dei tempi non è su scala terrestre ma universale.
La meravigliosa Ετερόφωτος, sesto pezzo del disco, chiude concettualmente questo viaggio. E’ il vuoto della fine dei tempi, la distruzione fragorosa, che nella conclusione diventa prog: l’essere fa parte di un tutto, dove è destinato a tornare quando tutto finirà.
Chiude, musicalmente, Terean, che ricorda molto i Sunn 0))): un brano che porta l’ascoltatore alla dimensione universale del concetto che anima quest’opera.
Siamo di fronte ad un grandissimo album, ricco di spunti e contenuti musicali, filosofici e critici verso il nostro mondo, o meglio, verso il mondo per come lo abbiamo costruito. Ayloss ha fatto, incredibilmente, un ulteriore passo in avanti: scrive testi bellissimi, suona ogni strumento con abilità tecnica ed intensità. Siamo di fronte ad un artista che non potrebbe fare altro che questo: la one man band. Perché, probabilmente, all’interno di un gruppo, il suo immenso genio, sarebbe inesorabilmente limitato.
Ε τ ε ρ ό φ ω τ ο ς . Un percorso, un sentiero, un’esperienza.